Lo spettatore #245- Un amore impossibile: Videodrome (1983)

Quella di oggi è una pellicola che vanta una sterminata schiera di estimatori, tra i quali, lo ammetto, fatico a schierarmi.
La prima volta che mi capitò tra le mani mi lasciò addirittura indifferente, ma ero un ragazzino scemo e non capivo la vita. Poi a metà del cammino la riguardai e lei quasi riuscì nell'intento di sedurmi, anche se l'entusiasmo evaporò col passare dei minuti.
Di recente ci ho provato di nuovo e, complice il possesso di un supporto finalmente adeguato al suo blasone, c'è stato qualche ammiccamento. Però l'amore vero resta un'altra cosa.

Cronemberg usa l'iperbole per mettere in scena il suo disgusto verso il mezzo televisivo e l'imbruttimento dell'audience. Carne, sensualità ed erotismo sono la sua base per la pizza e da abile impastatore li utilizza senza per forza dare un senso logico al prodotto.
Ne viene fuori un film che si scaglia contro l'utilizzo che certa televisione fa degli spettatori sottoponendoli a programmi sempre più estremi e sulla capacità che il mezzo ha di plasmare le coscienze. Un'opinione forse eccessiva, dati i limiti che lo strumento porta con se, ma resa poi quasi timida dall'avvento di internet con le sue depravazioni a buon mercato.
Il regista canadese è consapevole che per portarci dentro alla sua visione distorta del tubo catodico ci deve catturare piano piano, così come protagonista mette James Woods, attore piuttosto bravo nelle parti da allucinato, alle prese con un piccolo canale privato che deve sfruttare qualunque opportunità per guadagnare posizioni nell'etere. Un carattere a tratti respingente, ma comprensibile nell'epoca della competizione perenne.
Il colpo da maestro però è Debbie Harry e l'utilizzo incredibilmente sensuale che Cronemberg ne fa. La ragazza, si sa, si guadagnava da vivere con un altro mestiere, quindi il rischio nell'offrile un personaggio così particolare c'era. Eppure è talmente ipnotica da rendere comprensibili (o addirittura conturbanti) le sue particolari voglie, trasformandola nel colpo più efficace di tutto il progetto.
Quando parlavo di fascino riguardo a Videodrome, ovviamente, mi riferivo alla prima parte della pellicola.  
Quello che il regista ci racconta da quando Debbie Harry entra nell'appartamento del protagonista monopolizzando la di lui (e la di noi) attenzione, è un viaggio allucinato del quale è impossibile stabilire l'inizio. La realtà si sgretola davanti a Woods un pezzo alla volta e noi smettiamo di capire fino a che punto il delirio stravolga la mente devastata del poveruomo.
Nel magma carnoso che diventa sempre più invadente, si insinua una trama sinistra fatta di grandi dirigenti, di una trasmissione capace di modificare la percezione sensoriale e di antichi saggi salvati su videocassetta.
Scegliere se starci o meno dipende da chi guarda. Possiamo decidere che la realtà svanisce nel momento della visita dall'ottico, oppure dalla prima trasmissione di Videodrome alla quale Woods assiste. Magari tutta quanta la storia è frutto di una mente corrotta dalla brama di successo, o forse succede tutto, dal primo all'ultimo minuto.
Poco importa, perché Cronemberg in realtà parla del potere dei media, come faceva QuintoPotere qualche anno prima, solo attraverso una messa in scena grottesca, piena zeppa di idee che torneranno buone qualche film più avanti.
Il punto è che uscita Debbie Harry dall'equazione, io me ne sono andato con lei e questa cosa è successa tutte le volte che ho visto Videodrome, non c'è niente da fare. Teoricamente questo è un film perfetto per me, eppure, se dovessi scegliere cosa guardare, gli preferirei sempre il Pasto Nudo, lavoro per certi versi figlio di questo, ma molto più vicino alla mia sensibilità.
Nonostante il supporto in alta definizione e un approccio molto meno superficiale di qualche decennio fa, con Videodrome il sentimento non scatta.
Certi amori non finiscono, diceva il poeta.
Altri nemmeno iniziano.


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