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Iuri legge per voi: Non può piovere per sempre (2022) di Roberto Baldini

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  Come ben sappiamo la letteratura erotica non mi scalda particolarmente il cuore. Probabilmente dipende dalla mia scarsa propensione alla fantasia, ma non trovo nulla di conturbante nella lettura degli amplessi altrui, tanto che solitamente preferisco evitare direttamente il genere. Ora, non che il romanzo breve di Roberto Baldini sia assimilabile esclusivamente a quel tipo di racconto, tuttavia l’autore utilizza molte suggestioni che vengono da lì. Va da sé che per mio gusto un libro già così corto abbia potuto offrirmi poco. Tra quel poco, però, mi è piaciuta l’idea distopica che sta alla base del soggetto, ovvero la scelta politica di azzerare i sentimenti delle persone dopo un anno dall'inizio di una relazione. Ho trovato divertente speculare su cosa potrebbe succedere in una situazione come questa, così come è intrigante la parte finale dell’opera con la sua conclusione sicuramente spiazzante, anche se, forse per questioni di spazio, poco preparata durante la lettura. Non Pu

Lo spettatore #227: I bei noir che facevano nel futuro: Gattaca- La porta dell'universo ( Gattaca, 1997)

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Ho come l’impressione che Gattaca si sia guadagnato il titolo di piccolo cult di fine millennio, forse per la presenza della meglio gioventù dell’epoca rappresentata da Ethan Hawke, Uma Thruman e Jude Law. Ma può anche essere che mi sbagli, del resto questo è un prodotto che mi sono visto svolazzare davanti per venticinque anni prima di decidermi ad afferrarlo. Magari è solo la sua onnipresenza a farmi pensare che goda di una certa fama. Certo è che l'estetica retrofuturista nella quale è immerso gli è valsa una candidatura all’Oscar. Del resto l’ambientazione asettica e vagamente anni quaranta scelta da Niccol, pur non rappresentando un’ondata di novità senza precedenti, dona a questa distopia la giusta atmosfera. Ecco, peccato solo che si tratti di un esercizio inutile, perché dopo il monologo di dieci minuti regalatoci da Ethan Hawke in apertura, Niccol poteva chiamare la chiusura delle riprese e mandare tutti a casa. Si perché quando il racconto dell’infanzia del protagonista

#FL 13- Hackerare il futuro: Watch Dogs: Legion (2020)

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Si dice che le prime impressioni siano sempre sbagliate, eppure stavolta voglio ignorare la saggezza popolare e darvi la mia sul gioco di oggi. Lo faccio perché, come tutte le prime impressioni, anche questa ha finito col dissiparsi andando avanti nell'avventura, ma non perché la ritenga frettolosa e quindi sbagliata, quanto perché nella vita ci si adatta a tutto. Anche all'inequivocabile fatto che Watch Dogs Legion fosse un gioco già vecchio il giorno dell'uscita. Il nome Ubisoft a me evoca dolci ricordi, legati a una tarda infanzia passata tra i pixel del Commodore e allietata da una cassetta multigioco edita dalla casa francese che mi ha dato l'opportunità di provare il mitologico Stunt Car Racer e l'avventura grafica basata sull'Alba dei Morti Viventi (che non capivo come giocare, ma questo è un altro discorso). Perciò non riesco proprio a voler male all'editore in questione, pur se conscio delle controversie che ne hanno piagato la credibilità in questi

FL #12- La fine di un'era: Red Dead Redemption 2 (2018)

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In passato mi è capitato di pensare che un videogioco fosse bello perché raccontava storie come un film. Una considerazione che nella mia stupida testa doveva fungere da complimento, in quanto utile a sottolineare la maturità del progetto, il suo essere qualcosa di più di un passatempo, la sua forza nel generare emozioni. Però con il tempo mi sono reso conto che il punto non è e non deve essere quello. Un film è un film e ha un suo linguaggio per veicolare la narrazione, cosa che vale anche per i romanzi, i fumetti, eccetera. Di conseguenza anche i videogiochi devono percorrere i loro sentieri per arrivare al cuore del pubblico, senza derivazioni di sorta. Qualcuno ci prova, qualcuno ci riesce. La cosa da chiarire prima di installare Red Dead Redemption II sul dispositivo è che non ci troviamo di fronte a un Grand Theft Auto ambientato nel far west. Approcciarsi all'opera Rockstar con l'insolenza che in passato ci ha fatto scorrazzare per le strade di Liberty City significher

Iuri Legge Per Voi: Città della pianura (Cities of the Plain, 1998) di Cormac McCarthy

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Altre volte su questo macilento spazio ho accennato al mio amore verso le storie ambientate nella moderna frontiera americana, luogo disperato dove i sogni di libera anarchia di un intero popolo hanno finito per schiantarsi contro la violenza della civilizzazione. Ecco, non è un segreto per nessuno che uno dei migliori cantori di questi spazi sia Cormac McCarthy, autore recentemente scomparso che ci ha lasciato in eredita uno stile unico di fare letteratura. Città della Pianura è uno di questi esempi, un libro ammantato da una sensazione di inevitabilità, quasi che la pianura estesa tra Messico e Stati uniti sia un animale paziente che attende la preda. Non è facile costruire un'atmosfera così rassegnata, specialmente tra le righe di un romanzo. McCarthy ci riesce utilizzando le tecniche stilistiche rese popolari da Hemingway e fatte proprie da tanti autori dopo di lui, ovvero asciugando di ogni orpello la propria scrittura, mostrando e non raccontando, liberandosi dai vincoli dell

FL#11- Colpi di qua, colpi di la: En Garde! (2023)

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Avevo voglia di qualcosa di diverso e quando ho sentito parlare di “En Garde!” credevo di averlo trovato. L'idea di affrontare un'avventura cappa e spada vecchia maniera, gestita in modo spiritoso e che per protagonista ha una spadaccina sfrontata, mi stuzzicava, così come la possibilità di poter mettere le mani su un gameplay fresco. Aggiungiamoci che il gioco costa il giusto e direi che possiamo cominciare. Eppure il primo impatto con “En Garde!” è stato deludente. Dietro i colori sfavillanti e l'atmosfera fiabesca, infatti, non si fatica a intravvedere la scarsità di poligoni, la legnosità del paesaggio e i modelli bruttini dei personaggi. Un aspetto generale da gioco vecchio, molto vecchio. Quasi un'opera pensata per la generazione Playstation 2. A ciò va aggiunto un comparto esplorativo piuttosto scarno con poche sorprese nascoste in uno sviluppo delle mappe a tunnel, utile solamente a passare da una stanza dei combattimenti all'altra. Inoltre la campagna è dec

Lo spettatore #226- Caos totale: Crank: High Voltage (2009)

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Ammetto di aver schierato Crank nel ristretto plotone dei miei desideri proibiti. Non ho idea del perché, dato che a me Statham sta abbastanza sulle scatole e le poche immagini del film che mi sono giunte agli occhi hanno gravemente infierito sulle retine. Eppure mi è sempre sembrato il prodotto ideale per quando, ormai devastato dalla stanchezza, mi fosse venuta volta di sedermi sul divano e lasciarmi coccolare da eventi imbecilli privi di qualsiasi senso logico. Alla fine il cervello si è congedato per davvero e così è giunto il tempo di affidare allo schermo Crank, anche se, in mancanza del primo capitolo, ho dovuto ripiegare sul secondo. Tanto mi sa che è la stessa cosa. Nella vita vi capiterà di incontrare qualcuno capace di sostenere (restando serio) che Crank: High Voltage è un film rivoluzionario, capace di riscrivere le regole della grammatica cinematografica, vorace divoratore di ritmo, violento e scanzonato insieme o addirittura semplicemente bello. Dopotutto il mondo è un