CDC #144- Sherry e la frontiera; parte terza (che poi sarebbe la seconda): Hell Or High Water (2016)

Su queste frequenze TaylorSheridan lo conosciamo bene. Lo abbiamo visto indossare un'uniforme e mettersi a caccia di una banda di teppisti inmotocicletta, ma soprattutto ne abbiamo apprezzato le doti artistiche quando, da semplice sceneggiatore oppure dal seggiolino del regista, si è dimostrato degno della poetica maccartiana, dove con questo termine non ci si riferisce alle imprese del famigerato senatore, quanto allo scrittore che di nome fa Cormac e che è uno dei più disperati cantori americani del secolo scorso.

Stavolta Sheridan imbastisce la storia di due fratelli rapinatori impegnati in una sequenza di assalti alle filiali di una determinata banca con l'obbiettivo di raggranellare una precisa somma di denaro. A inseguirli ci si mette una coppia speculare di ranger dal fiuto fino e dall'intuito sviluppato.
Ma naturalmente tutto questo è solo il vetro colorato che Taylor utilizza per filtrare quello che da sempre è il suo argomento preferito: la disillusione della frontiera.
Sherdian si assicura un regista come David McKenzie, che in carriera non si può dire abbia sfornato chissà quali bellissimi di Rete 4, ma che, a quanto pare, si è studiato a fondo il Sicario di Villeneuve, tanto da adattarsi piuttosto bene alle atmosfere del nostro Terry.
Il risultato è una bestia piuttosto riconoscibile, con il marchio Sheridan affisso a fuoco sulla pelle. Tuttavia senza particolari guizzi in grado di elevarlo ai livelli del predecessore e, sopratutto, del suo seguito tra le nevi di Wind River.
Jeff Bridges e Gil Brimingham sono gli eredi perfetti del Mucchio Selvaggio, figli come sono di un'epoca nella quale il sogno della frontiera ancora significava qualcosa e pregni di quel senso di giustizia western che ha formato tante generazioni di americani. I due vecchi poliziotti forse rappresentano l'ultimo alito di un vento che si sta spegnendo per sempre.
Dall'altra parte, invece, i rapinatori sono discretamente giovani, ma già talmente rassegnati alla miseria da sentirsi costretti a viverla nonostante l'immensa fortuna che piove loro addosso. Una vita a farsi sfruttare da banchieri senza scrupoli li porta a prendere una strada che come unica direzione sembra avere la tragedia. L'inevitabile fatalismo che già altre volte l'allegro Sherry ci ha voluto mostrare.
Solo che gli interpreti chiamati a prendere in mano la situazione mi hanno lasciato un po' perplesso. Il matto Tanner affidato a Ben Foster, con quello sguardo sul cui fondo si riesce a leggere un poca di disperazione, forse potrei anche accettarlo. Ma Chris Pine, belloccio insipido e aspirante Bossari, proprio no. Non mi trasmette niente.
Pensate alla scena con la cameriera che gli fa le moine. Ok, lei è perfetta. In carne, un'aria vissuta nonostante non sembri vecchia: l'immagine giusta se vuoi mostrarmi la stanchezza di una provincia che spegne le aspirazioni ancora prima che diventino consapevoli. Pine li però non c'entra niente. Pare arrivare da un altro film mentre interagisce con lei. Non riesce a superare la sindrome da faccetta e perde ogni forma di credibilità, rischiando di portare alla deriva tutto il progetto.

Perché, nonostante i sentieri battuti da Sheridan e soci siano sostanzialmente quelli e che questa cosa si veda chiaramente (soprattutto nelle scene dall'alto sulle strade deserte e impolverate) dei lavori legati a questo filone questo è quello che funziona meno.
Certo, non può essere tutta colpa di Pine e ovviamente la responsabilità della sua prestazione va condivisa anche con chi lo ha voluto li.
Ma forse, al terzo passaggio e dopo aver già assimilato l'ottimo Wind River, semplicemente Hell Or High Water diventa superfluo. Una reiterazione di concetti già espressi e meglio bilanciati altrove.
O magari è solamente il meno riuscito, ci sta.
Chissà voi che ne dite? Ma tanto non mi rispondete, cosa chiedo a fare.

Commenti