Lo spettatore #284- Quel gusto un po' barocco dei potenti: L'ora di religione (2002)
Durante la visione di questo film c’è stato un momento preciso in cui sono riuscito a dare un senso a tutta l’esperienza. Si tratta di una scena che mostra Sergio Castellitto a una strana festa assistere a un concerto alle spalle di Alba Rotwacher in tenuta da suora. Li mi si è accesa la lampadina: quella dell’attrice è una comparsata muta, ma io sapevo nel mio intimo che se anche avesse parlato non si sarebbe sentito nulla.
Ho immaginato l’attore sentirsi davvero solo in quella stanza, consapevole di come i sussurri si sarebbero mangiati il cinema italiano.
Li ho capito lo spaesamento del protagonista di questa storia. Questo sì che è meta-cinema.
Ho immaginato l’attore sentirsi davvero solo in quella stanza, consapevole di come i sussurri si sarebbero mangiati il cinema italiano.
Li ho capito lo spaesamento del protagonista di questa storia. Questo sì che è meta-cinema.
In effetti tutta la pellicola di Bellocchio gira attorno all’assurdità di una situazione che non può che rendere stranito il personaggio principale, il pittore Ernesto PIcciafuoco interpretato da Castellitto.
Tutto ciò che accade all’uomo olezza di grottesco, tra beatificazioni materne, insegnanti fantasma e duelli all’alba. Lui volutamente indifferente al sistema sociale che lo circonda, si ritrova da esso risucchiato e finisce per avere contatti con tizi alquanto bizzarri, figli di un’altra epoca e determinati a mantenere uno status quo che forse nemmeno esiste più.
Bellocchio gioca col suo protagonista, infilandolo in situazioni sempre più assurde e aliene, cose che sembrano fuori dal mondo, ma che pretendono di governarlo, il mondo.
Al tempo della sua uscita, il film fu contestato parecchio dai cattolici e dai vicini alla chiesa di Roma, perché considerato derisorio di quella fabbrica di Santi che fu il pontificato di Papa Giovanni Paolo II, oltre che ostile alle credenze religiose in generale.
Ecco, per quanto in parte questo aspetto effettivamente ci sia, Bellocchio in realtà si prende gioco di un macchinario più ampio, del quale la Chiesa è solo un ingranaggio. Quello che si intravede attraverso lo sguardo del pittore è un sistema di potere completamente fuori dalla realtà, con ideali ancorati a un passato aristocratico spazzato via dalla Storia, ma forse ancora pulsante dietro i drappi dei palazzi.
Tutto è falso, tutto recitato, dalla beatificazione richiesta solo per una questione di prestigio, ai duelli rusticani che si risolvono in nulla.
Castellitto giustamente ride di ciò e lo fa con una certa superiorità, come se tutte quelle artificiosità non gli appartenessero. Eppure qualcuno ha voluto trascinarlo dentro a quel mondo finendo per spaventarlo.
Bellocchio costruisce la sua messa in scena tenendo ben presente l’aspetto caricaturale della vicenda. I personaggi che si interfacciano con il protagonista sono carichi come molle, quasi deformi nelle loro espressioni, deglii psicopatici privi di autenticità. Persino la maestra, così carina e delicata, pare finta per come rappresenta l’ideale romantico. Verrebbe voglia di dire che l’unico genuino oltre al pittore è il parente pazzo, matricida, svalvolato e ignorato, almeno fino a che non serve una sua confessione capace di certificare la falsa verità messa in piedi dai fratelli. Ma purtroppo resta in scena troppo poco per averne la certezza.Ho fatto meno fatica del previso durante questo film, che sulle prime non sembrava adatto a me. Bellocchio gioca con il mezzo, costruendo un’opera che uno come Sorrentino dev’essersi guardato più volte prima di andare a rappresentare l’opulenza del potere.
Certo, L’Ora Di Religione non è un lavoro pop, tuttavia sa parlare della resistenza al cambiamento di un potere che non vuole smettere di essere tale. Forse non la pellicola che rivedrei ogni anno, ma di sicuro un’esperienza positiva che vale la pena di fare.




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