CDC #147- Morire e insegnare a vivere: The Dead Girl (2006)

Non so se qualcuno lo ricorda, ma tra gli anni novanta e gli zero si formò una sorta di movimento cinematografico fatto di opere pensate per i festival indipendenti. Orde di attori, anche di un certo nome, si affidavano a registi sconosciuti e dietro compensi simbolici sgomitavano per dimostrare ai critici alti di saperci fare anche con prodotti sofisticati.
Poi boh. A me pare che tutto questo darsi da fare si sia esaurito. Forse i supereroi hanno risucchiato anche questi coraggiosi spingendoli a gettare la spugna. O magari i baluardi dell'indipendenza hanno smesso di crederci.
O, più facilmente, sono io che mi sono stufato e non li cerco più.

Si perché, al di la di qualche buona pellicola, dietro la fotografia sgranata di queste opere si nasconde spesso quell'intento moralizzatore da ditino alzato capace di renderle più bacchettone del mainstream contro cui sbattono le corna.
Ciò spinge questi film, in teoria piccoli e che dovrebbero vivere delle loro storie, a trasformarsi in trattazioni nelle quali registi e sceneggiatori (ma anche attori, elettricisti, macchinisti, eccetera) ci tengono davvero molto a far sapere al pubblico come la vedono loro. Ora dovrei dirvi che posseggo una mente aperta alle opinioni di tutti, ma sarebbe una bugia. Non me ne frega niente di come la pensano questi sconosciuti. Quello che davvero mi importa è ascoltare una storia. Se poi uno è bravo a raccontarla riesce a farmi capire cosa pensa anche senza farmi la morale.
Bene, in questo lavoro di storie ce ne sono addirittura cinque. Alcune celano del potenziale, altre meno. Ma tutte pretendono di far parte di un grande film.
Karen Moncrieff schiera un cast clamoroso per raccontare un agglomerato di vicende attraverso un sistema che, almeno formalmente, ho scoperto piacermi molto.
Piazza al centro un evento (il ritrovamento di un cadavere) e attorno a questo costruisce cinque racconti indipendenti, separati nettamente l'uno dall'altro e popolati da personaggi destinati a non incontrarsi mai.
Nessun montaggio incrociato in stile Altman. Si tratta di storie distinte che parlano di cose diverse e che hanno per denominatore comune la povera Brittany Murphy, attrice sfortunata anche nella vita visto che ci ha lasciati troppo presto.
Insomma, se volete vederla in modo meno romantico, cinque cortometraggi raccolti dentro un film a episodi. Le facevano anche Castellano e Pipolo queste cose e senza che dal Sundance Robert Redford drizzasse le antenne.
Quanto è crudele il mondo dello spettacolo.

Nella mia vita ho provato a scrivere qualche racconto breve (non sono chissà che, ma magari ve ne farò leggere qualcuno) e per esperienza so che questo tipo di letteratura non necessita per forza di un arco narrativo completo. Spesso si tratta di frammenti strappati a una ideale storia più grande che ne riassumono atmosfere e concetti. Ad ogni modo, comunque, la sensazione di avere qualcosa di concreto alla base dovrebbero lasciarla e in questo caso la regista non sempre riesce nell'intento.
Mi riferisco al primo segmento specialmente, in cui si vorrebbe mettere in luce la lotta per l'indipendenza di una ragazza troppo a lungo soggiogata dall'anziana madre. Però ho avuto la sensazione che qualcosa mancasse. Come se si trattasse di un corto riempitivo assemblato di fretta per riempire il buco mancante.
Un brutto calice da mandare giù, specialmente perché è quello che inaugura la pellicola e dovrebbe presentarsi come uno di quei cocktail colorati di benvenuto. Invece è un bicchiere d'acqua di rubinetto che non riesce nemmeno a sapere di ruggine.
Poi le cose vanno meglio eh. Ma non troppo.
Secondo Rai Play The Dead Girl andrebbe catalogato come film d'azione, ma a me viene in mente che dalle parti di Saxa Rubra avessero poche opere di questo genere e che gli servisse un titolo per riempire la videata.
In realtà i ritmi di tutti i cinque segmenti si attestano su una blandizia spesso ostentata. Un comparto dialoghi esagerato (forse per sfruttare la quantità di attori) e una tendenza a rallentare il tempo là dove non serve (brodo allungato?) sfigurano quasi tutti gli episodi ed è un peccato, perché in alcuni di questi c'erano gli elementi giusti. E anche le scelte registiche giuste, se dobbiamo dirla tutta.
Giusto l'ultimo filmino propone un po' di movimento, quasi a suggerirci che l'unica ad avere una vita piena fosse la nostra disgraziatissima Brittany. Ma magari ho visto in questa scelta un ditino che in realtà non c'era.
Sapete com'è, col tempo son diventato prevenuto.

Potrei prendere in mano un episodio alla volta e analizzarlo con la lucetta. Tanto più che in ogni segmento le facce note si sprecano. Però sarebbe una operazione priva di senso. In più è tardi.
Per cui vi lascio con l'impressione più forte che mi ha lasciato questo lavoro. Mi è sembrata un'opera con la voglia di scavare nel torbido, piena di buona recitazione e con delle idee interessanti che in parte sviluppa anche piuttosto bene (nel secondo e nel terzo capitolo specialmente).
Qualcosa da lasciare dietro di se forse ce l'ha. Ma con me non ci è riuscita per via di un'impostazione vista altre volte e per quell'aria da sapiente che la pervade per tutta la durata.
Ve lo dico, potrebbe piacervi e molto.
Ma anche annoiarvi a morte.


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