Lo spettatore #281- Follia sul carroarmato: Fury (2014)
Prima di guardare Fury mi aspettavo una tarantinata con Brad Pitt che fa il gradasso e sequenze talmente assurde da diventare fumetti in movimento. Un po’ come Bastardi Senza Gloria, ma sul carroarmato.
Mi sbagliavo ovviamente.
In realtà Fury parte quasi assecondando la mia idea preventiva su di lui, mostrando un uomo a cavallo che emerge dalla nebbia del campo di battaglia e che viene aggredito in modo spettacolare da Brad Pitt, un altro di quei tizi di Hollywood che pensa di esser ancora giovane. Una scena truce, se vogliamo, ma lontana dalla crudezza che Fury ha intenzione di mostrarci. Poco dopo infatti siamo all’interno del blindato dove Michael Pena stringe la mano di un compagno caduto incapace di accettarne la dipartita, anche se la testa dello sventurato è sparsa per l'abitacolo.
Fury destruttura l’eroismo del racconto di guerra, sostituendolo con la follia di un manipolo di soldati che ne ha viste decisamente troppe per potersi permettere ancora un briciolo di sanità mentale. Poi però si unisce a loro un ragazzino appena arrivato in Europa e ancora vergine dei campi di battaglia e la circostanza mette Brad Pitt in una posizione scomoda. Il capo è infatti combattuto tra l’insegnare subito al giovanotto la brutalità del conflitto, costringendolo a misurarsi con l’aspetto peggiore della guerra, oppure tentare di preservarlo, concedendogli l’accesso alle cose migliori che la situazione offre ai soldati. Perché se il giovane non capisce subito le necessità della barbarie rischia di non fare molta strada, ma dall’altra parte, con la guerra ormai prossima all’epilogo, c’è la possibilità di risparmiargli la sua dose di follia e mandarlo a casa quasi integro e con tutta la vita davanti per lasciarsi alle spalle orrori solo intuiti.
Ma la guerra ha piani diversi per tutti.
Ecco, se escludiamo il finale eroico e tragico che comunque rappresenta un giusto sfogo per la narrazione, il senso del film è proprio quello di raccontare la guerra per quella merda che è, ovvero un assurdo tritacarne che non risparmia nessuno e che piace solo a chi non la deve combattere. Fury questo lo racconta bene, senza sconti, con ampio uso di frattaglie e atti crudeli, con scene tese dove la morte sceglie le proprie vittime a caso e con rapidità, con la messa in scena di battaglie disperate, con gusto e ritmo, con la capacità di raccontare per immagini che lo rende uno dei migliori film a tema degli ultimi anni, almeno secondo me.
Persino uno come Shia LeBeouf che di solito mi provoca una brutta irritazione cutanea quando appare su schermo, qui riesce a funzionare e questa è, a mio modo di vedere, una certificazione determinante sulla buona riuscita del lavoro di David Ayer.Del resto tutto il cast riesce ad essere credibile in questa pellicola. Dal burbero ma umano comandante Brad Pitt, al giovane protetto Logan Lerman che deve adattarsi a un tremendo apprendistato, da Michael Peña dall’aria fragile, all’ormai mentalmente compromesso Jon Bernthal, ma anche tutti coloro che incrociano il destino con questi carristi.
Insomma Fury è un film che sa lasciare un segno in chi lo guarda, grazie a una messa in scena che non fa sconti e che è capace di presentare la guerra per quello che è: una macchina mangiauomini che non concede tregua né pietà
Se in giro ne sentite parlare in termini elogiativi sappiate che sono meritati.




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