Lo spettatore #274- Non si può dire gioielliere: L'orafo (2022)
La domenica mattina è uno di quei fenomeni cosmici misteriosi che permettono a tempo e spazio di fare cose inimmaginabili. A volte scorre via placida, lasciando che le ore passino senza nemmeno farsene accorgere. Altre però è capace di costruire impressionanti accumuli di materia, talmente densi da riuscire a produrre variazioni spazio temporali e alterare la percezione. Di quei frangenti, rari ma non così tanto, ha imparato a far buon uso Jeff, che conscio di potersi inserire in un tempo che altrimenti non esisterebbe nemmeno, fa spuntare sulla sua piattaforma titoli sconosciuti, ma dalla durata perfetta per potersi esaurire prima che l'universo riprenda la sua naturale marcia verso l'entropia.
In poche parole L'Orafo l'ho visto solo perché mi sono trovato con un po' di tempo a disposizione, ma non troppo. Solo che detta così rovina tutta la poesia.
Ora, forse L'Orafo non è migliore degli horror da pochi soldi che arrivano da oltre oceano, ma magari non è nemmeno peggiore. Che differenza fa se al cinema ci va lui piuttosto che l'ennesimo mostro mascherato?
L'Orafo è un film bello da vedere che certamente sfrutta idee già notate altrove, ma non ne abusa, riuscendo piuttosto personale nel suo modo di sviluppare la storia.
Certo la vicenda non suona innovativa perché le dinamiche messe giù così sono già state raccontate, almeno come idea generale se non proprio nei dettagli. Tuttavia il potenziale c'è e le immagini che saltano fuori dallo schermo funzionano.
Almeno finché i personaggi non iniziano a muoversi.
I ragazzi interpretano i personaggi con troppa foga, urlando di continuo e muovendosi come ossessi. Questo aspetto, unito a una sceneggiatura non del tutto a fuoco, mi ha portato fuori dalla vicenda rompendo quel patto con l'autore che diventa determinante quando si imbastisce un racconto che si lascia dietro dei punti interrogativi sulla tenuta di alcuni comportamenti.
Non si dovrebbe mai lasciare allo spettatore lo spazio di chiedersi come sia possibile che gli avvenimenti accadano in un certo modo senza che nessun personaggio si faccia due domande. Invece L'Orafo questo spazio lo lascia perché di fatto non riesce mai a immergere chi guarda (almeno me) dentro il suo svolgimento.
L'Orafo, ma non solo lui, è un prodotto bello da vedere, ma privo di quell'anima di cui un film del genere ha disperatamente bisogno per funzionare. Ricchiuto prova a giocarsela con la tensione da stanza chiusa, ma in questo viene tradito dai suoi attori. Poi vira sul ribrezzo in scene efficaci ma prive di trasporto.
C'è del materiale peggiore in giro, perché la pellicola ha delle cose che funzionano bene e credo che Ricchiuto avesse la possibilità di realizzare qualcosa di ottimo. Magari gli serviva solo la giusta materia prima.
Che dispiacere.
In poche parole L'Orafo l'ho visto solo perché mi sono trovato con un po' di tempo a disposizione, ma non troppo. Solo che detta così rovina tutta la poesia.
Dico la verità, io questo film nemmeno sapevo esistesse prima che mi venisse proposto dalla schermata principale di Prime Video e questo fatto secondo me dovrebbe già far riflettere. Se pensiamo a quanto ciarpame di serie B (quando va bene) ci viene proposto dai distributori durante una stagione cinematografica viene persino male allo stomaco. Tonnellate di paccottiglia piena di personaggi stupidi che fanno cose stupide, spesso inseguiti da uno stupido con una stupida maschera che finirà per ucciderli in modo stupido spinto da moventi (quando ci sono) stupidi. Esiste una fornace alle pendici della collina che sforna questa roba con lo stampo, fondendo assieme dinamiche già viste e digerite una quarantina di anni fa. Eppure sembra che non ci si stanchi mai di vedere questi prodotti e chi di dovere non fa altro che accontentare il gusto di un pubblico incapace di chiedere altro.
Ora, forse L'Orafo non è migliore degli horror da pochi soldi che arrivano da oltre oceano, ma magari non è nemmeno peggiore. Che differenza fa se al cinema ci va lui piuttosto che l'ennesimo mostro mascherato?
L'Orafo è un film bello da vedere che certamente sfrutta idee già notate altrove, ma non ne abusa, riuscendo piuttosto personale nel suo modo di sviluppare la storia.
Certo la vicenda non suona innovativa perché le dinamiche messe giù così sono già state raccontate, almeno come idea generale se non proprio nei dettagli. Tuttavia il potenziale c'è e le immagini che saltano fuori dallo schermo funzionano.
Almeno finché i personaggi non iniziano a muoversi.
Inutile che indori la pillola, perché i veri problemi del film secondo me stanno tutti davanti alla macchina da presa e si chiamano Tania Bambaci, Gianluca Vannucci e Mike Cimini, tre attori che purtroppo danno corpo ai protagonisti di questa storia, quelli attorno ai quali occorre costruire tutta la tensione e che dovrebbero scortarci tra i meandri di una vicenda cupa e brutale.
I ragazzi interpretano i personaggi con troppa foga, urlando di continuo e muovendosi come ossessi. Questo aspetto, unito a una sceneggiatura non del tutto a fuoco, mi ha portato fuori dalla vicenda rompendo quel patto con l'autore che diventa determinante quando si imbastisce un racconto che si lascia dietro dei punti interrogativi sulla tenuta di alcuni comportamenti.
Non si dovrebbe mai lasciare allo spettatore lo spazio di chiedersi come sia possibile che gli avvenimenti accadano in un certo modo senza che nessun personaggio si faccia due domande. Invece L'Orafo questo spazio lo lascia perché di fatto non riesce mai a immergere chi guarda (almeno me) dentro il suo svolgimento.
L'Orafo, ma non solo lui, è un prodotto bello da vedere, ma privo di quell'anima di cui un film del genere ha disperatamente bisogno per funzionare. Ricchiuto prova a giocarsela con la tensione da stanza chiusa, ma in questo viene tradito dai suoi attori. Poi vira sul ribrezzo in scene efficaci ma prive di trasporto.
C'è del materiale peggiore in giro, perché la pellicola ha delle cose che funzionano bene e credo che Ricchiuto avesse la possibilità di realizzare qualcosa di ottimo. Magari gli serviva solo la giusta materia prima.
Che dispiacere.
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