Lo spettatore #271- Quello che deve fare il simpatico per forza: Deadtime stories (1986)

Eccoli i favolosi e celebrati anni ottanta in tutto il loro splendore, passati attraverso il filtro del film horror antologico dalla qualità televisiva e zeppi di quell'umorismo macabro che spesso risulta molto più imbarazzante che divertente. Prima che Jeff decidesse di schiaffarmelo in prima pagina io di Deadtime Stories non sospettavo nemmeno l’esistenza. Quanto bene stavo nella mia ignoranza, cribbio.

Va detto che c'è stata un’epoca nella quale anche produrre robaccia per cassetta voleva dire fare cinema. Se guardassimo Deadtime Stories prestando attenzione alla perizia tecnica, in particolar modo ammirando i gustosi effetti speciali, potremmo quasi cedere all’illusione di star osservando un autentico film.
Ma questo avverrebbe solo perché la cura per la qualità non esiste più in praticamente nessun campo, se si esclude l’artigianato del lusso (e nemmeno sempre).
La verità è che l’antologia di Jeffrey Delman esaurisce le proprie meraviglie piuttosto in fretta, giusto il tempo di lasciar sgorgare la “comicità” insita al progetto. A quel punto si rischia di non vedere proprio più nulla per via degli occhi coperti dalle mani in un atto di estremo disagio.
Tale situazione non è portata dall’estremismo della messa in scena, come forse vorrebbe Delman riempiendo di frattaglie lo schermo, quanto dalla sceneggiatura bambinesca, piena di trovate sciocche che in un paio di occasioni mi hanno anche strappato una risata. Forse isterica.
Più volte riguardando questi tentativi di rendere pop il cinema horror mi sono chiesto se è il mio io di oggi ad avere problemi con un modo di fare cinema che non esiste più, ma spesso mi sono anche risposto di no, perché a me questa roba faceva andare di corpo già in periodi non sospetti ed è proprio per questo che molti di questi capolavori me li sono persi. Non mi piaceva proprio lo stile.
Piuttosto lo sguardo odierno mi consente di apprezzare il tentativo riportare le favole classiche all’interno dell’oscurità dalla quale sono emerse per colpa del Ratto. Cappuccetto Rosso e Riccioli D’Oro sono storie dalla forte componente spaventosa, persino sanguinolenta se uno volesse spingerle al loro estremo.
Il punto qui non sono le idee, ma la realizzazione di un prodotto che si mette in testa di dover fare il simpatico per forza, senza che i suoi autori lo siano. L’umorismo nero e cinico, volendo, può anche strappare un mezzo sorriso sghembo sulla faccia di una persona che lo ascolta, ma essere un tipo dalla battuta pronta non assicura la capacità di far ridere, che è mestiere diverso e molto poco stupido.
Chissà, forse Delman all’epoca era il giullare carismatico del gruppo, quello che stupiva tutti con la freddura buttata al momento giusto e si è convinto di avere del talento per la commedia. Purtroppo per lui i risultati sono devastanti e piombano sul suo film uccidendo le cose buone, che ci sono ma nulla possono.

Voglio dargli il beneficio del dubbio e provo ad addebitare la sciagura anche al doppiaggio italiano, scadente anche in quanto a qualità audio. Purtroppo essendo un prodotto che persino Jeff considera poco pregiato questo Deadtime Stoies (opera che già dal titolo manifesta le proprie intenzioni) è costretto a subire l’amputazione della lingua originale e conseguentemente di tutti i giochi di parole che (spero) avrebbero potuto rendere un poco di onore alla sceneggiatura.
Non lo saprò mai in realtà, perché una visione mi è bastata. Se qualcuno dovesse essere più informato in merito me lo faccia sapere.
Saluti.



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