Lo spettatore #265- Un po' di cibo per lo squalo: Paradise Beach (2016)
Se mi aveste posto delle domande su
Blake Lively qualche settimana fa non avrei saputo rispondervi. A
vederla in foto mi pareva la classica biondina intercambiabile che
frequenta la Collina, ma la mia sarebbe stata una boutade per stare
sulla difensiva. Poi, di colpo, la signora Reynolds (io ero convinto
che Ryan stesse ancora con Scarlett, fate voi) se n’è uscita con
dichiarazioni particolari durante la promozione di un suo film e gli
squali di internet le si sono avventati addosso bramosi di
squarciarne le carni e di assaporarne il sangue.
Ecco, l’altro giorno dalle segrete del mio castello ho portato alla luce il DVD del film di oggi, comprato chissà quando e, soprattutto, chissà perché. Una pellicola che vede Blake alla mercé di uno squalo autentico, bramoso delle sue carni e assetato del suo sangue.
Il grande burattinaio gioca con le nostre esistenze e si diverte un mondo.
Ecco, l’altro giorno dalle segrete del mio castello ho portato alla luce il DVD del film di oggi, comprato chissà quando e, soprattutto, chissà perché. Una pellicola che vede Blake alla mercé di uno squalo autentico, bramoso delle sue carni e assetato del suo sangue.
Il grande burattinaio gioca con le nostre esistenze e si diverte un mondo.
Fatico ad appassionarmi ai film di
squali. Secondo me una volta uscito quello famoso là il genere aveva
già esaurito gli argomenti.Tuttavia posso anche capire cosa attragga
produttori, registi e pubblico verso gli oceani e i loro letali
dominatori. Si tratta pur sempre di una sfida tra un fragile essere
umano e il più efficiente dei cacciatori, capace di spuntare dagli
abissi in qualsiasi momento nascosto dalle profondità marine e
perfettamente a suo agio in un ambiente ostile alla preda. La
tensione ribolle nell’acqua salmastra e basta una pinna per farla
esplodere. Tuttavia, a meno di inventarsi una storia che preveda
tornado zeppi di pescecani (un’idea assurda che nessuno potrebbe
mai partorire), è difficile essere innovativi. Ma soprattutto è
impossibile giocarsela con il realismo.
L’esile Blake non avrebbe una sola speranza di fronte a un mostro grande come un aereo da carico che potrebbe mangiarsela intera in un solo boccone e poi defecarla così com’è.
Tocca giocarsela di immaginazione e va bene. Almeno fino a un certo punto.
L’esile Blake non avrebbe una sola speranza di fronte a un mostro grande come un aereo da carico che potrebbe mangiarsela intera in un solo boccone e poi defecarla così com’è.
Tocca giocarsela di immaginazione e va bene. Almeno fino a un certo punto.
Oserei dire che, fintanto che può, il
film di Jaume Colet-Serra il suo lo fa. Gioca con le nostre
consapevolezze riguardo al tema, si diverte a rimandare l’incontro
fatidico, costruisce uno squalo dotato di acume strategico, ci fa
vivere abbastanza bene le difficoltà della bionda sullo scoglio,
ferita e immobilizzata, nell’attesa che arrivi l’alta marea ad
adaigiarla tra le fauci della belva.
Questa però è solo la parte centrale di una pellicola che, al di là di queste trovate abbastanza classiche per il genere, non sa bene cosa mettere prima e dopo. Il regista ha una sola attrice (o quasi) e per creare empatia con lo spettatore decide di costruire un retroterra che ne giustifichi le azioni. Probabilmente è una scelta corretta, ma il risultato è una mezzora di noia atroce all’inizio e un finale con il messaggio imbarazzante, nel quale si vede un Brett Cullen che non pare essere nemmeno fisicamente sul luogo delle riprese.
Questa però è solo la parte centrale di una pellicola che, al di là di queste trovate abbastanza classiche per il genere, non sa bene cosa mettere prima e dopo. Il regista ha una sola attrice (o quasi) e per creare empatia con lo spettatore decide di costruire un retroterra che ne giustifichi le azioni. Probabilmente è una scelta corretta, ma il risultato è una mezzora di noia atroce all’inizio e un finale con il messaggio imbarazzante, nel quale si vede un Brett Cullen che non pare essere nemmeno fisicamente sul luogo delle riprese.
Comunque, anche quando riesce a far
girare la giostra, Colet-Serra non può evitare di inciampare nella
goffaggine, specialmente nel momento in cui offre un po’ di cibo
allo squalo.
Le tre vittime della bestia fanno una fine stupida perché è stupido il loro comportamento. Del resto si tratta di maschi, mica gente intelligente come la Blake che li guarda dallo scoglio. Il primo crepa perché va a ubriacarsi su una spiaggia dimenticata dalla civiltà che può essere raggiunta solo dai più abili esploratori della giungla. Gli altri due nemmeno si chiedono perché la loro nuova amica abbia passato l’intera notte su una roccia di quattro millimetri quadrati e si lanciano con le loro tavole ignorando gli avvertimenti di lei sulla presenza del temibile mostro.
Tutto per arrivare a un finale così assurdo che forse i tornado di squali erano meglio, con delle trovate sempre più pirotecniche, che superano a destra la meraviglia e la tensione per andare infilarsi in quel corridoio dove riecheggia la frase: “ma che puttanata, porca miseria”.
Le tre vittime della bestia fanno una fine stupida perché è stupido il loro comportamento. Del resto si tratta di maschi, mica gente intelligente come la Blake che li guarda dallo scoglio. Il primo crepa perché va a ubriacarsi su una spiaggia dimenticata dalla civiltà che può essere raggiunta solo dai più abili esploratori della giungla. Gli altri due nemmeno si chiedono perché la loro nuova amica abbia passato l’intera notte su una roccia di quattro millimetri quadrati e si lanciano con le loro tavole ignorando gli avvertimenti di lei sulla presenza del temibile mostro.
Tutto per arrivare a un finale così assurdo che forse i tornado di squali erano meglio, con delle trovate sempre più pirotecniche, che superano a destra la meraviglia e la tensione per andare infilarsi in quel corridoio dove riecheggia la frase: “ma che puttanata, porca miseria”.
Ma forse, in fin dei conti, lo scopo
del progetto era proprio quello di mandarla completamente in vacca.
Del resto se ci riescono quelli della Asylum e con un discreto
successo, perché non dovrebbero farcela alla Columbia?
Forse perché si prendono troppo sul serio, mi verrebbe da dire. Se il film si fosse limitato ai quarantacinque minuti centrali, pur con tutte le sue ingenuità, magari si sarebbe rivelato un giocattolone divertente.
Invece ci sono la parte iniziale e (forse soprattutto) quell’epilogo che non serve, momenti che rovinano la visione in modo quasi irreparabile.
Ora resta da capire se Blake Lively sarà altrettanto abile a salvarsi dagli squali dell’internet come lo è stata nella baia messicana. Anche se, a dire il vero, non me ne frega niente.
Forse perché si prendono troppo sul serio, mi verrebbe da dire. Se il film si fosse limitato ai quarantacinque minuti centrali, pur con tutte le sue ingenuità, magari si sarebbe rivelato un giocattolone divertente.
Invece ci sono la parte iniziale e (forse soprattutto) quell’epilogo che non serve, momenti che rovinano la visione in modo quasi irreparabile.
Ora resta da capire se Blake Lively sarà altrettanto abile a salvarsi dagli squali dell’internet come lo è stata nella baia messicana. Anche se, a dire il vero, non me ne frega niente.
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