Lo spettatore #258- Una melma paludosa: Mississippi Burning (1988)
Odio usare termini assoluti quali “capolavoro”. Li trovo appiattenti, sovraesposti e ormai quasi vuoti, visto l’utilizzo facile che se ne fa. Però caspita, talvolta sembra che te le vogliano proprio strappare con la forza certe parole.
Penso all’elemento più evidente
della pellicola, ovvero il campionario di facce giuste indossate dal
personaggio giusto. Voglio dire: a parte Gene Hackman e Willem Defoe,
che già di loro funzionano alla grande come investigatori
complementari, opposti negli approcci eppure funzionali allo stesso
modo nel perseguire gli obbiettivi, qui a ogni ruolo è abbinato un
attore che pare nato per interpretarlo.
Brad Dourif ad esempio lo avevamo già visto nei panni di cattivo al cinema. Anzi, oserei dire che a quei tempi era quasi un’istituzione. Eppure qui il suo sguardo allucinato e il viso da teppista trovano il perfetto incastro, perché il vice sceriffo Clinton Pell è prima di tutto un figlio della sua terra, luogo dove certe angherie non sono solo tollerate, ma in un certo senso anche incitate.
Oppure Frances McDormand, che interpreta la di lui moglie dalla diversa sensibilità, che comprende gli errori di uno stile di vita costruito sull’odio, ma che rimane comunque prigioniera volontaria di una situazione ripugnante.
Ma naturalmente potrei andare avanti per ore, parlando del sindaco di R.Lee Ermey, dello sceriffo di Gailard Sartain, di Michael Rooker, fino a Kevin Dunn, che riesce a essere perfetto anche in una parte di contorno.
In un film fatto di personaggi gli attori possono fare la differenza e qui accade.
Brad Dourif ad esempio lo avevamo già visto nei panni di cattivo al cinema. Anzi, oserei dire che a quei tempi era quasi un’istituzione. Eppure qui il suo sguardo allucinato e il viso da teppista trovano il perfetto incastro, perché il vice sceriffo Clinton Pell è prima di tutto un figlio della sua terra, luogo dove certe angherie non sono solo tollerate, ma in un certo senso anche incitate.
Oppure Frances McDormand, che interpreta la di lui moglie dalla diversa sensibilità, che comprende gli errori di uno stile di vita costruito sull’odio, ma che rimane comunque prigioniera volontaria di una situazione ripugnante.
Ma naturalmente potrei andare avanti per ore, parlando del sindaco di R.Lee Ermey, dello sceriffo di Gailard Sartain, di Michael Rooker, fino a Kevin Dunn, che riesce a essere perfetto anche in una parte di contorno.
In un film fatto di personaggi gli attori possono fare la differenza e qui accade.
Alan Parker poteva giocarsi il suo film
sulla segregazione razziale in tanti modi, ma probabilmente decidendo
di girare un noir sceglie la strada giusta.
La sceneggiatura di Chris Gerolmo affonda le radici in un fatto di cronaca di inizio anni sessanta, ovvero la sparizione di tre attivisti per i diritti civili avvenuta in uno sperduto luogo dimenticato dalla civiltà chiamato Jessup e situato nel profondo sud degli Stati Uniti, adagiato tra campi e paludi.
Parliamo di una comunità ferma al secolo precedente, con i neri segregati in baracche fuori città, trattati da schiavi e vittime delle peggiori angherie. Un territorio dove gli incappucciati godono di ampia impunità, sia negli sguardi delle persone che dal punto di vista giuridico.
Vero è che nel 1964 in ampie zone degli Stati Uniti la tolleranza non era una qualità così diffusa (a differenza di quello che succede oggi no?), ma nelle profondità del Mississippi la situazione era addirittura peggiore.
La sceneggiatura di Chris Gerolmo affonda le radici in un fatto di cronaca di inizio anni sessanta, ovvero la sparizione di tre attivisti per i diritti civili avvenuta in uno sperduto luogo dimenticato dalla civiltà chiamato Jessup e situato nel profondo sud degli Stati Uniti, adagiato tra campi e paludi.
Parliamo di una comunità ferma al secolo precedente, con i neri segregati in baracche fuori città, trattati da schiavi e vittime delle peggiori angherie. Un territorio dove gli incappucciati godono di ampia impunità, sia negli sguardi delle persone che dal punto di vista giuridico.
Vero è che nel 1964 in ampie zone degli Stati Uniti la tolleranza non era una qualità così diffusa (a differenza di quello che succede oggi no?), ma nelle profondità del Mississippi la situazione era addirittura peggiore.
In questo contesto arrivano a indagare
i due agenti dell’FBI per capire che fine abbiano fatto gli
attivisti e chi sia coinvolto nella loro sparizione, trovando ad
accoglierli una comunità ovviamente ostile, disposta a tutto pur di
proteggere i propri membri più scavezzacollo. C’è paura in questo
atteggiamento, ma anche convinzione che sotto sotto gli attivisti se
la siano cercata.
Ecco, qui Parker marca la sua opera. Poteva raccontare le solite favole sull’emancipazione, oppure magari buttarsi sulle rivendicazioni dei neri. Invece sceglie di fare un film di bianchi sui bianchi, lasciando la comunità nera sullo sfondo e parlando direttamente allo spettatore che si sente lontano da certi meccanismi.
L’indagine di Rupert Anderson e Alan Ward è uno schiaffo in faccia a mano aperta dopo aver scatarrato sul palmo e mette sul banco degli imputati non solo gli autori materiali degli omicidi, ma anche tutti gli atteggiamenti lassisti di chi sa ma giustifica, perché sotto sotto nessuno deve venire a casa nostra e insegnarci a vivere.
Ecco, qui Parker marca la sua opera. Poteva raccontare le solite favole sull’emancipazione, oppure magari buttarsi sulle rivendicazioni dei neri. Invece sceglie di fare un film di bianchi sui bianchi, lasciando la comunità nera sullo sfondo e parlando direttamente allo spettatore che si sente lontano da certi meccanismi.
L’indagine di Rupert Anderson e Alan Ward è uno schiaffo in faccia a mano aperta dopo aver scatarrato sul palmo e mette sul banco degli imputati non solo gli autori materiali degli omicidi, ma anche tutti gli atteggiamenti lassisti di chi sa ma giustifica, perché sotto sotto nessuno deve venire a casa nostra e insegnarci a vivere.
A prima vista gli assassini di Jessup e
i loro complici possono sembrare degli spietati pezzi di merda pieni
di livore e non troppo intelligenti, anche perché è Parker a
mostraceli così. Quella che il regista fa passare sotto la
superficie, però, è la realtà di un microcosmo che ha sempre
vissuto con certi (dis)valori e che si vede minacciato dalle
ingerenze di chi, venuto da fuori, vorrebbe spingere in direzione di
un cambiamento.
Ora, depurando la mente dagli aspetti democratici e dai giusti ideali di questo cambiamento, è facile immaginare quante implicazioni può avere un approccio simile se applicato alla realtà attuale.
Gli abitanti del paese si sentono derisi e sottovalutati, provano acredine verso il resto della nazione e vedono i federali come avamposto di un’istituzione che vuole imporsi su di loro. I politici scaltri si approfittano di questo malcontento e lo gonfiano, fino al punto da vestirsi di carnevale e sostenere materialmente gli uomini col cappuccio. Chi deve far rispettare la legge è semplicemente una ruota dell’ingranaggio che fa funzionare il macchinario per come ha sempre funzionato.
Per Anderson e Ward questi sono tutti pazzi e direi che hanno pure ragione. Ma è una follia culturale ben sottolineata da quel tema musicale quasi horror che sembra emergere dal terreno.
Ora, depurando la mente dagli aspetti democratici e dai giusti ideali di questo cambiamento, è facile immaginare quante implicazioni può avere un approccio simile se applicato alla realtà attuale.
Gli abitanti del paese si sentono derisi e sottovalutati, provano acredine verso il resto della nazione e vedono i federali come avamposto di un’istituzione che vuole imporsi su di loro. I politici scaltri si approfittano di questo malcontento e lo gonfiano, fino al punto da vestirsi di carnevale e sostenere materialmente gli uomini col cappuccio. Chi deve far rispettare la legge è semplicemente una ruota dell’ingranaggio che fa funzionare il macchinario per come ha sempre funzionato.
Per Anderson e Ward questi sono tutti pazzi e direi che hanno pure ragione. Ma è una follia culturale ben sottolineata da quel tema musicale quasi horror che sembra emergere dal terreno.
Parker ci
racconta tutto questo attraverso un genere che con l’oscurità ha
parecchi punti di contatto. La bellezza del film è che non c’è
un’inquadratura sprecata e ogni cosa è funzionale alla trama. Si
segue l’indagine (ben sapendo ciò che è successo e per colpa di
chi) e ci si immerge sempre più in profondità nella palude di
Jessup. Si assiste alle angherie degli incappucciati ai danni
dell’inerme popolazione nera. Tutto brucia, incendiato dalla mafia
nazista che spadroneggia nel paese. E io, per quello che vale, non
sono mai riuscito a staccare gli occhi dallo schermo, travolto da uno
spettacolo inquietante ma tangibile. O forse inquietante proprio
perché tangibile.
No, non userò quella parola per definire Mississippi Burning. Ma sono stato tentato. Molto tentato.
No, non userò quella parola per definire Mississippi Burning. Ma sono stato tentato. Molto tentato.
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