Lo spettatore #257- Strade polverose e cavalli: Race For Glory (2024)
Non sono un appassionato di rally, tuttavia quando nell’elenco appena stilato dalla piattaforma è comparso un nuovissimo film di corse non ho proprio potuto privarmi dell’emozione. Poi il fatto che Race For Glory potesse rivelarsi la delusione del 2024 era compreso nei pronostici, ma dargli una possibilità mi sembrava doveroso, se non altro per l’impegno messo nel portare sullo schermo l’epica impresa della Lancia 037, capace di sfidare e battere la mostruosa Audi Quattro, una storia troppo poco raccontata per il valore che contiene.
Le aspettative, lo ammetto, erano un
po’ bassine. Avevo sentito parlare di Race For Glory, ma da quello
che vedevo in giro non mi pareva la risposta italiana ai colossal
americani a tema. Tuttavia una pellicola intima e ben costruita tipo
Veloce Come Il Vento sarebbe stata sufficiente a placare la mia sete
di cinema rombante.
Stefano Mordini ha per le mani due grossi calibri quali Riccardo Scamarcio (che figura pure tra i produttori e gli sceneggiatori) e Daniel Brühl (che ci ha preso gusto con le corse) così gli tocca sfruttarli (più il primo che il secondo a dire il vero). I due impersonano i veri sfidanti di quella contesa che infiammò le strade nel 1983 ovvero Cesare Fiorio e Roland Gumper, direttori sportivi di Lancia e Audi. La trama ci parla della sfida lanciata (ha ha) dal marchio italiano a quello tedesco, più forte e tecnologicamente avanzato, in grado di portare in strada prima di tutti le quattro ruote motrici.
Capisco che la circostanza non vi esalti più di tanto, ma se la mettete sul piano dello sfavorito che contro tutti i pronostici va alla caccia del titolo detenuto dal campione indiscusso e imbattibile, capite subito bene che ci sono le basi per mettere giù la classica sceneggiatura appassionante di un film sportivo.
Stefano Mordini ha per le mani due grossi calibri quali Riccardo Scamarcio (che figura pure tra i produttori e gli sceneggiatori) e Daniel Brühl (che ci ha preso gusto con le corse) così gli tocca sfruttarli (più il primo che il secondo a dire il vero). I due impersonano i veri sfidanti di quella contesa che infiammò le strade nel 1983 ovvero Cesare Fiorio e Roland Gumper, direttori sportivi di Lancia e Audi. La trama ci parla della sfida lanciata (ha ha) dal marchio italiano a quello tedesco, più forte e tecnologicamente avanzato, in grado di portare in strada prima di tutti le quattro ruote motrici.
Capisco che la circostanza non vi esalti più di tanto, ma se la mettete sul piano dello sfavorito che contro tutti i pronostici va alla caccia del titolo detenuto dal campione indiscusso e imbattibile, capite subito bene che ci sono le basi per mettere giù la classica sceneggiatura appassionante di un film sportivo.
Tuttavia Race For Glory soffre di un
ritmo spezzettato, figlio del tentativo di rispettare l’andamento
autentico dei fatti mischiato alla necessità di costruire personaggi
cinematografici. In tal senso spiccano le figure di Fiorio
(ovviamente) e di Walter Röhrl (Volker Bruch), unici due su cui si è
deciso di fare un po’ di introspezione, mentre gli altri (Brühl
compreso, purtroppo) sono più che altro figuranti lasciati sullo
sfondo.
La pellicola parla dell’ossessione per la vittoria di Fiorio contrapposta alla serenità del suo pilota, uno che quasi non vuole più vincere. Ecco, su questo punto mi sento di muovere una critica alla scrittura del personaggio. Vero è che io Röhrl non lo conosco personalmente, ma descrivere un pilota che corre per non vincere mi pare una forzatura. Capisco l’appagamento e la voglia di non rischiare il filo della schiena in imprese senza speranza, ma immaginare uno che corre per perdere mi sembra un filino troppo come richiesta allo spettatore. In quelle condizioni un pilota smette e stop.
Non so, l’ho notata solo io questa stortura?
La pellicola parla dell’ossessione per la vittoria di Fiorio contrapposta alla serenità del suo pilota, uno che quasi non vuole più vincere. Ecco, su questo punto mi sento di muovere una critica alla scrittura del personaggio. Vero è che io Röhrl non lo conosco personalmente, ma descrivere un pilota che corre per non vincere mi pare una forzatura. Capisco l’appagamento e la voglia di non rischiare il filo della schiena in imprese senza speranza, ma immaginare uno che corre per perdere mi sembra un filino troppo come richiesta allo spettatore. In quelle condizioni un pilota smette e stop.
Non so, l’ho notata solo io questa stortura?
Quello che esce dalla pellicola più di
tutti è Scamarcio e non perché la sua interpretazione sia una di
quelle che restano, quanto piuttosto per il minutaggio molto generoso
che Mordini gli concede. Ci sta, dato il peso specifico di Fiorio
nella storia di cui si sta raccontando le vicissitudini. Tuttavia il
problema è quando l’attore parla e non tanto perché Scamarcio non
somigli in nessun aspetto al suo corrispettivo reale (non è una gara
di sosia questa), quanto per un problema di doppiaggio difficilmente
ignorabile.
Complicato capire quale sia la lingua originale in un film dove si parla italiano tra italiani, tedesco tra tedeschi e francese tra francesi, tuttavia verrebbe da pensare che essendo un prodotto made in Italy, occorra scegliere l’italiano per arrivare al punto più profondo della vicenda.
Così ho fatto io e ho avuto modo di pentirmene abbastanza presto. Nel momento in cui, cioè, Scamarcio da voce al suo Fiorio per la prima volta.
Complicato capire quale sia la lingua originale in un film dove si parla italiano tra italiani, tedesco tra tedeschi e francese tra francesi, tuttavia verrebbe da pensare che essendo un prodotto made in Italy, occorra scegliere l’italiano per arrivare al punto più profondo della vicenda.
Così ho fatto io e ho avuto modo di pentirmene abbastanza presto. Nel momento in cui, cioè, Scamarcio da voce al suo Fiorio per la prima volta.
E’ un’intervista dove giornalista e
protagonista parlano in inglese (si vede dal labiale). Non so perché
non sia stata lasciata così e sottotitolata, una scelta presa altre
volte lungo la pellicola e perfettamente in sintonia con un progetto
poliglotta come questo. Il fatto è che Scamarcio dà l’impressione
di fare da ventriloquo a un pupazzo con le sue forme. Dovrei essere
contento che per una volta il cinema italiano abbia la forza di
rinunciare all’audio in presa diretta, se non altro perché si
sente quello che dicono. Ma cacchio, ascoltare Scamarcio è come
vedere i film orientali di un tempo, quelli mixati male da
distributori frettolosi che non conoscevano bene il mestiere.
Poco male, dopotutto in un film di
corse la differenza la fanno (pensa te) le corse. Importante: trovo
abbastanza inutile confrontare Race For Glory con le pellicole a tema
del recente passato che disponevano di un budget sufficiente per
iscrivere una scuderia al campionato di Formula 1, così come pare
irrituale metterla in relazione a un gioiellino di casa nostra come
Veloce Come il Vento, perché il rally è più difficile da rendere
(mancano i duelli della pista, i passaggi multipli sullo stesso
punto, ecc.), per di più questo è anche un film storico, quindi non
c'è nemmeno la possibilità di installare delle telecamere su auto
che corrono le gare vere per integrare le riprese.
Tolte queste cose, però, delle corse in questo lavoro non resta gran che, quasi delle sessioni accessorie inserite perché si deve. Qualche inquadratura sul viso dei piloti, un paio di riprese da fuori a bassa velocità, una sfida durante un trasferimento. Troppo poco per accendere la fiammella e mettersi sulla punta della poltrona trascinati dal rombo assordante dei motori.
Tolte queste cose, però, delle corse in questo lavoro non resta gran che, quasi delle sessioni accessorie inserite perché si deve. Qualche inquadratura sul viso dei piloti, un paio di riprese da fuori a bassa velocità, una sfida durante un trasferimento. Troppo poco per accendere la fiammella e mettersi sulla punta della poltrona trascinati dal rombo assordante dei motori.
Quindi Race For Glory è un film
prevalentemente parlato, che si ostina sul dualismo artificiale tra
un DS e il suo pilota, che prova a porre l’accento sul fascino
delle corse mancando il bersaglio anche quando i personaggi ne
parlano direttamente (Steve McQueen aveva già pronunciato la frase
definitiva sull’argomento nel 1970, a chi è venuto dopo tocca solo
citare).
Una pellicola che mi ha lasciato freddo, magari solo perché gli esperimenti recenti mi avevano abituato troppo bene.
Comunque vi saluto.
Una pellicola che mi ha lasciato freddo, magari solo perché gli esperimenti recenti mi avevano abituato troppo bene.
Comunque vi saluto.
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