Lo spettatore #256- Chiacchiere a vuoto: Le Confesstioni (2016)

Il DVD di Le Confessioni se ne stava a prendere polvere negli anfratti della mia magione da chissà quanti anni, comprato sotto l'effetto di qualche incantesimo dimenticato.
Basterebbe contare i giorni passati prima di infilarlo nel lettore e fargli fare il primo (e probabilmente unico) giro di giostra per capire che, se anche comprassi ancora supporti fisici per i film, non rifarei una scelta del genere.
Siamo a una riunione del G8, una di quelle determinanti per stabilire il futuro del mondo, ospitata in una sfarzosa villa antica piena di agi e servitù. Gli otto grandi però sono consapevoli di essersi un filo allontanati dal sentire comune, così, oltre al capoccia della Banca Centrale, invitano anche tre ospiti chiamati a testimoniare le loro azioni: una scrittrice di favole per bambini, un cantante famoso ma un po’ consumato e un monaco italiano che parla poco.
Solo che durante il primo pernottamento il banchiere ci lascia la ghirba e il monaco, in quanto ultima persona ad averlo visto in vita, viene sospettato del fattaccio.
Ci sarebbero tutti gli ingredienti per quei noir a stanza chiusa pieni di aristocrazia imbellettata, atti a scavare i lati oscuri e fare emergere perversioni e crudeltà, con una trama banalotta ma funzionale all’intrattenimento di un genere che, se raccontato bene, riesce sempre a portare a casa la pagnotta.
Roberto Andò però non è di questo avviso, essendo interessato più al contesto che alla trama.
Il regista decide di mettere in piedi una trattazione, scelta della quale posso contestare l’eleganza, ma che criticherei solo per una questione di gusto personale. In realtà ci potrebbe anche stare. Il neo principale è che qui manca proprio la base su cui discutere, secondo me.
Prima che un virus arrestasse il sistema e che qualche autocrate fuori di testa decidesse di usare i carri armati per riavviarlo in modalità provvisoria, il grande Tema su cui le tifoserie si aggredivano a colpi di caps lock era la crisi dei debiti sovrani, ovvero quell’evento che opponeva gli amanti dell’austerità (per gli altri) a coloro che volevano piantare l’albero dei soldi per andare a raccoglierne i frutti ogni volta che ne avevano voglia.
Da una trattazione cinematografica, quindi culturalmente elevata mi verrebbe da pensare, mi aspetterei concetti un pochino più profondi di quelli che si trovano sul web o nei talk show che infestano i palinsesti, magari partendo dall’illustrazione di qualche meccanismo, dalla concretizzazione di certe azioni, da una presenza tridimensionale degli attori di questo vertice.
Invece ho assistito alla messa in scena di otto più tre manichini privi di vita che non dicono niente per due ore.
Portare sullo schermo interpreti famosi e farne recitare uno solo non è sufficiente per dare corpo a un prodotto che rischia di finire nel vuoto per caratteristiche intrinseche, prima ancora che come qualità dello stesso.
Questi stanno tutto il tempo a parlare della manovra che devono varare con aria grave, non sprecando un solo vocabolo per illustrarla, almeno per sommi capi. Ho avuto l’impressione di perdere tempo guardando questi non personaggi chiacchierare tra loro. Stereotipi come il tetesco inflessibile col cane o il russo smanaccione mezzo ubriaco restano tali anche se li si riempie di citazioni dotte, mentre attorno a loro il nulla più assoluto si mangia minuti di esistenza che nessuno più mi tornerà.
Vedere questo film è stato come assistere ai comizi dei guru con la bocca zeppa di banalità che affascinano le masse solo grazie al loro sorriso rassicurante. Perché il confezionamento è anche gradevole, mica dico di no, per quanto privo di guizzi che fanno alzare dalla sedia.
Ma il contenuto proprio no.
La scena del cane che gira attorno al tavolo è forse il punto più alto della goffaggine che spesso imbarazza la pellicola, ma temo che questa spiacevole caratteristica sia inevitabile quando si discute dell’aria senza potersi appendere a nulla di concreto su cui costruire qualcosa.
Le Confessioni mi ha lasciato l’impressione di essere stato creato per cantargliene quattro a quei potenti là che fanno i loro porci comodi sulla pelle del popolo, ma che quando è arrivato al dunque abbia scoperto di non essersi preparato abbastanza bene per affrontare la discussione facendo una figuraccia.
Io pensavo che avrebbe potuto non piacermi perché è un film contemplativo e quelli mi scaldano ormai poco. Invece ho scoperto che da contemplare non c’è proprio niente.



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