Lo spettatore #238- Quei favolosi giocattoli degli anni novanta: Demolition Man (1993) vs Tank Girl (1995)

Sono stanco.
Il lavoro quotidiano, i rapporti con voi umani, il suono del telefono, hanno compromesso irrimediabilmente i processi cognitivi dentro al mio cranio. Per di più mi sento assalito da una tormenta di notizie che mi vogliono costantemente in ansia: il clima sta cambiando, qualche autocrate imbecille ha deciso di gettare nel caos il pianeta, virus letali se ne stanno acquattati nell'attesa di saltarmi addosso.
Ho persino perso la voglia di scrivere, un'attività che un tempo mi divertiva. Così come non ho più lo spirito giusto per sedermi davanti a uno schermo a guardare i film, specialmente se sono lunghi e densi. L'idea stessa di farlo mi nausea.
In questa nebbia persistente si è però materializzato qualcosa che per un fine settimana è riuscito a rischiarare l'orizzonte. Due piccoli gioielli arrivati dal profondo degli anni novanta, periodo non migliore di questo probabilmente, ma nel quale qualcuno sapeva ancora giocare con le ansie da fine del mondo.


A prima vista Demolition Man e Tank Girl non potrebbero sembrare più diversi. Ma invece, se uno presta attenzione potrebbe sorprendersi a scorgere somiglianze notevoli tra i due titoli.
Intanto l'ambientazione distopica, ispirata a un'estetica vagamente cyberpunk nel primo, più vicina alle suggestioni di Mad Max nel secondo. Poi i cattivi da fumetto che ci sguazzano dentro, gente senza scrupoli che per dominare il proprio orticello farebbe qualunque cosa: tipi fatti di spigoli scolpiti nel marmo, frasi ad effetto e risate malvagie.
Ma soprattutto c'è quella voglia di giocare di cui parlavo in apertura, con la quale gli autori pensano innanzitutto a divertire e divertirsi, senza per forza dover mettere addosso ai personaggi angosce e tormenti che servono solo a rendere ridicole certe storie. Poi va bene: se c'è di mezzo zio Silvestro l'autoironia arriva fino a un certo punto.
Che se ci si pensa bene è anche il punto nel quale le due opere iniziano a differenziarsi
.

Stallone ormai da tempo era andato oltre i personaggi che interpretava. Che si trattasse di Rocky, Rambo o Cobretti, sempre di zio Sly si stava parlando, solo che vestiva diversamente. Chiedere a uno così di scomparire dentro le rigide divise della San Angeles del futuro sarebbe stato troppo. Lui non può essere troppo imbranato, deve conservare quell'aria spaccona che lo contraddistingue e soprattutto la sua è la morale dell'eroe, quello che magari rompe qualche regola, ma comunque lo fa per un mondo più giusto. Pur immerso nell'ironia del progetto, lo zio mantiene sempre quella struttura integerrima irrinunciabile e non risparmia le pallottole, nemmeno in un mondo ingenuo come quello nel quale si trova a vivere.
Con Tank Girl si è scelto un approccio diverso, più legato a una certa cultura alternativa che nel 1995 stava diventando mainstream. Colori e costumi si avvicinano al lato estetico del grunge, ma soprattutto viene proposta una protagonista diversa, dai toni leggeri e più incline a prendersi in giro, quasi estrapolata dal contesto che la avvolge, o magari ficcata dentro così profondamente da renderla immune alle brutture della sua epoca. Non che si risparmino i proiettili nemmeno qui, comunque.
I entrambi i casi i due eroi vengono accompagnati da una spalla femminile impacciata. Ma se da un lato Sandra Bullock deve indossare i panni della poliziotta inesperta e immatura che serve solo a imbellettare la figura di Sly, dall'altra la giovanissima Naomi Watts è consapevole del disastro che è il suo universo, pur restando comunque assoggettata a una Lori Petty che qui trova il ruolo della vita.
Alla fine della fiera Tank Girl è un personaggio che resta più nel cuore rispetto al rude Demolition Man, questo posso dirlo.
Non che ciò renda Tank Girl un film necessariamente migliore, sia chiaro. Dalle parti di Sly assistiamo a un racconto lineare, volto a esaltare la figura del personaggio, nel quale la giustizia è schierata dalla parte dell'ordine ma non della politica.
Tank Girl da questo punto di vista è più libero, si lascia andare spesso e non rinuncia a giocare con l'ispirazione fumettistica dalla quale deriva ricorrendo a scene animate. Il suo andamento vuole essere assurdo, anarchico. Tuttavia questa libertà presenta il conto in termini di fluidità. Il film sembra formato da piccoli episodi che stanno insieme grazie a raccordi che a volte non riescono a diluirsi nella storia. C'è confusione, non è chiarissimo ciò che succede e il ritmo in alcuni punti ne soffre. Se Stallone va via dritto come una spada, Petty a volte strappa e perde consistenza.
Intendiamoci, Demolition Man non è un capolavoro sotto questo punto di vista, ma i momenti confusi sono più che altro dovuti a una telecamera che deve muoversi tanto in spazi molto stretti, il che a volte manda a spasso i riferimenti visivi. Una questione che definirei tecnica, mentre dal punto di vista narrativo il prodotto è una roccia come il suo protagonista.






Mi piace pensare a questi due lavori come a modi opposti di vedere l'infausto futuro che qualcuno già allora profetizzava. Da una parte c'era la certezza che anche nella distopia di domani ci sarebbe stato qualcuno così puro e fiero da tenere in ordine le strade e dare sicurezza ai cittadini. Dall'altra l'idea che un approccio spensierato all'esistenza avrebbe fatto superare all'umanità anche i periodi più neri del suo avvenire. Probabilmente potrei anche azzardare degli schieramenti politici, ma è un esercizio così facile che mi vergogno a farlo. In ogni caso basterebbe decidere da che parte stare per sceglierne uno e godersi il suo approccio alla tematica.
Per quanto mi riguarda io mi rifiuto di affrontare una simile scelta, perché entrambe, pur con le loro differenze, sono storie con uno sguardo positivo che oggi mi sembra abbiamo perduto.
Chissà, forse negli anni novanta potevamo ancora permetterci provare fiducia nei confronti della nostra specie mentre oggi abbiamo i cacatoi (virtuali e non) che ci hanno fatto gettare la spugna.
O forse sono solo io che sono invecchiato male.



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