Lo spettatore #221- Profondità siberiane: Superdeep (2020)

Si dice che a Hollywood sia stato smarrito il cinema da medio budget. C’è chi attribuisce la responsabilità di questo alle piattaforme, chi al pubblico. Io non sono del mestiere, quindi evito di entrare nell’argomento e registro solamente una certa nostalgia per quei film che riempivano i palinsesti televisivi senza per forza coltivare ambizioni di eternità. Roba che divertiva e che per un’ora e mezza mi consentiva di evadere dai crucci quotidiani.
A quanto pare però se sulla collina hanno smesso di produrre certe cose, nel resto del mondo ci tengono ancora.
So che il titolo di questo film farebbe pensare a un disco funky anni settanta, ma bisogna aver pazienza, perché certe trovate piacciono.
Andiamo con ordine piuttosto e diciamo chiaramente che non serve aspettare di vedere come è vestita la protagonista nel finale per capire quali siano i riferimenti cinematografici di Arseny Syuhin. Ambientazione e attacco rimandano subito la mente alla Cosa, mentre gli spazi angusti e il senso invisibile di minaccia atterrano direttamente dalla Nostromo. Ispirazioni e omaggi ai quali il regista porta rispetto e che utilizza per dare corpo a una pellicola tesa al punto giusto, interpretata da una Milena Ratulovic perfettamente adatta al suo ruolo e che gioca con le mostruosità di una situazione inspiegabile.
C’è anche l’aspetto nostalgico, visto che la vicenda è ambientata in una base artica sovietica del 1984, perché i bei tempi sono tali per tutti, indipendentemente dal lato della Cortina in cui si viveva.  
A questo proposito sulle prime il racconto pare addirittura coraggioso nel mostrare come l’ambizione scientifica e l’ottusità politica messe insieme possano provocare danni. Tuttavia dalle parti di Syuhin governa ancora chi c’era a quei tempi e non è certo gente portata all’autocritica o all’ironia, quindi alla fine della fiera viene fuori l’eroismo anche dei quadri dirigenziali, umili al punto di accettare il sacrificio supremo per il benessere dell’umanità.
Ma questo aspetto conta fino a un certo punto, perché Superdeep funziona grazie all’atmosfera che riesce a costruire attorno ai personaggi, pur non inventandosi niente ma, anzi, ispirandosi a tal punto ai classici della fantascienza horror degli anni ottanta americani da sfiorare talvolta la copia 1:1.
Non fosse che in alcuni casi sembra un poco confuso, che alcuni personaggi sono completamente superflui e che gli attori che gli interpretano (esclusa la protagonista che funziona benissimo, come dicevo) risultano anonimi fino a farmeli confondere l’uno con l’altro, Superdeep sarebbe un prodotto quasi perfetto per ciò che dovrebbe fare.
Vero, forse in alcuni momenti il brodo di allunga un pochino troppo, complice la voglia del regista di omaggiare i suoi idoli anche oltre l’utile, ma l’organicità degli effetti speciali, la claustrofobia della situazione e il gusto di alcuni dialoghi (con una frase si riesce a rendere credibile l’esistenza di una struttura come un laboratorio scavato a sei chilometri dalla superficie, fiondando lo spettatore dentro la storia), rendono questa opera russa godibile fino alla fine.

Un bel progetto che ci dice che no, il cinema di serie B dignitoso e girato con il cuore dalla parte giusta non è morto, ma si è limitato di scendere dalla collina e spargersi in giro come i semi di una pianta che finalmente è pronta a sbocciare.





Commenti

  1. Se mi dici che funziona mi fido, perciò vedrò il film!
    Ti abbraccio.

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    1. Fidati. Non è il capolavoro del secolo ma è divertente al punto giusto.

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  2. Non mi era dispiaciuto, ma l'avevo trovato un po' lunghino e dispersivo. Qualche taglietto qui e là avrebbe giovato, a mio parere.

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    1. Si, hai ragione. A volte da l'impressione di perdersi in omaggi non necessari.

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