Iuri legge per voi: La Chiave Di Vetro (The Glass Key, 1930) di Dashiell Hammett


 

Ned Beaumont non è un investigatore come tutti gli altri. Nel noir i protagonisti sono uomini consumati, sciolti dall'esistenza, talvolta rassegnati, che prendono cazzotti ma che spesso li restituiscono, uomini travolti da eventi dei quali perdono il controllo, però anche astuti, capaci di districrasi tra quei dedali piovosi o pregni di afa dove convivono reietti, sangue, fumo, alcol e donne fatali. Potremmo definirli professionisti dell'investigazione, che conoscono i rischi del mestiere e sanno scansare i peggiori.
Ecco, il Beaumont creato da Dashell Hammet è un dilettante. Un tuttofare del boss politico locale che, quando la situazione si scalda, sembra rassegnato alla sconfitta.
Un problema personale gli porta in dote un distintivo, quel distintivo lo costringe a mettersi a sbrigare un lavoro per il quale non è preparato e nemmeno l'amicizia con il grande capo gli sarà di aiuto. Anzi, produrrà nuovi grattacapi.
Se Hammet fosse rimasto per tutto il romanzo con questo tipo di idea in testa, sicuramente La Chave Di Vetro avrebbe avuto una marcia in più. Però ad un certo punto lo schema del giallo, con il delitto che va risolto e le trovate dell'investigatore, viene fuori e il racconto scivola verso l'andamento classico del genere, con tanto di infatuazione senza senso.
Poi lo sapete già, del genere più che le trame a me piacciono le atmosfere, sempre zeppe della decadenza di un mondo che non è proprio il più degradato che si possa descrivere, ma che si mette appena una paio di scalini più su. La Chiave Di Vetro quelle cose le sa mettere su pagina, nessun dubbio.
Solo che, visto l'esordio della storia, per un attimo mi ero cullato sull'idea di leggere un epilogo diverso, strano, meno consueto. Invece tutto finisce come deve finire.
Consigliato? Si, naturalmente. Anche se lo scrittore ha offerto prove più brillanti, se vi piace il noir hard boiled La Chiave Di Vetro non vi deluderà.
Ma non chiedetegli di più.


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