Lo spettatore #196- Il rigido Keanu Reeves: Constantine (2005)

Chi si ricordava di Constantine? Nessuno? Benissimo, allora siamo in tanti. Eppure questo film io a suo tempo lo vidi e ricordo che mi portai a casa la sensazione di aver vissuto un sereno intrattenimento. Ma nemmeno un frammento di immagine è rimasto impresso nella mia pellicola mentale. Bah, non importa. Tanto alla fine l'ho riguardato.


Difficile mantenere la barra dritta dentro una sceneggiatura che prevede universi sovrapposti, bibbie alternative, divinità, demoni, mezzosangue e una spruzzatina di nazisti. C'è da farsi girare la testa. Ma Francis Lawrence mantiene l'ordine grazie a una trama lineare che è facile da seguire, con un ritmo giusto e scene d'azione a volte un poco strambe, ma quasi sempre oneste.
Tutto sembra funzionare bene. Certo, non parliamo di una pellicola memorabile, sia chiaro. Il fatto che me la fossi totalmente scordata è solo in parte dovuto al mio banco di memoria da un kbyte ormai fritto da tempo.
Rachel Weisz, Tilda Swinton e l'imberbe Shya LaBeouf erano delle ottime esche per il pubblico e se consideriamo che a un certo punto del film compare anche Peter Stromae a dar manforte alla voce dei Bush Gavin Rossdale, capiamo che il grosso del lavoro qui è stato fatto da un reparto casting abbastanza scialacquone. Tutta gente capacissima di dare un'impronta resistente sul gesso di questo prodotto, ma non sufficiente a compensare l'impalpabilità di un racconto costruito su misura di quel Keanu Reeves appena uscito vincente dalla scommessa Matrix e abbonato all'abito scuro con cravatta.

Il punto è che per il lavoro è stato assodato il Keanu più rigido della storia. Pare finto da quanto si muove a scatti e mica solo durante i combattimenti (ai quali comunque prova a mettere una pezza il montaggio). E' la ricerca della faccetta truce ad essere talmente esasperata da farlo sembrare un personaggio di un videogioco per la PS1.
Anche se forse un motivo per la prestazione c'è. Si diceva che tutto sembrava funzionare bene. Una verità, almeno finché non compaiono a schermo gli effetti speciali creati con lo ZX Spectrum in dotazione all'apposito reparto.
Passi per la resa dell'inferno, che quantomeno può contare su una valenza artistica interessante con il suo essere la stessa cosa del nostro mondo, solo fatiscente, divorato dalle fiamme e sospeso in un eterno presente. Il problema qui sono i demoni e il mostrame vario, che Lawrence cerca di tenere nascosto finché può, ma che ad un certo punto è costretto a esibire.
Vedere quegli esseri così finti, appiccicati alla pellicola e tenuti il più possibile all'ombra per evitare che devastino le retine degli spettatori, fa capire perché Reeves si muova come un burattino nelle mani sbagliate.
Keanu si adatta e per sembrare parte integrante di questa storia diventa un uomo di pixel, esattamente come i suoi avversari. Un genio della recitazione, non ho altro da dire.
In realtà non credo davvero a quello che ho scritto. Purtroppo Keanu è uno che potrebbe seguire le orme di Nicohlas Cage, ma non ne ha il coraggio e ciò lo porta ad esporsi a figure come questa.
Di questo Constantine resta l'idea di un racconto pseudo religioso esagerato, immerso in un contesto fantasy che non può permettersi, pieno zeppo di facce note che aggiungono troppo poco per renderlo memorabile.
Ora l'ho rivisto e probabilmente per qualche mese mi ricorderò di cosa parla. Ma sono sicuro che se ci vedremo tra un paio d'anni sarò di nuovo al punto di partenza e magari mi farò la stessa domanda che ho posto in apertura.
L'inferno dopotutto è ripetizione.



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