CDC #168- Il film giusto al momento sbagliato: Contagion (2011)

Da buon ultimo sono arrivato anche io. Nel momento più cruento della pandemia un noto canale ha pensato bene di mandare in onda Contagion, tanto per aiutare la gente a rilassarsi un po'.
Quel giorno non lo vidi in TV, ma lessi gli strali che si scatenarono sui vari social network, dove tutti ammonivano su quanto fosse preveggente quel film. I poteri forti sapevano già tutto, in buona sostanza, perché nella pellicola si raccontava esattamente ciò che è accaduto al mondo in questi mesi.
Diciamo che non è esattamente così. Ma vaglielo a spiegare.
Vi dirò la verità: già da un po' coltivavo l'intenzione di riguardarmi Contagion, fin dai tempi di The Flu, sciagurata messa in scena coreana a tema infettivo. Lo ricordavo divertente, emozionante, stordente, opprimente e tutti gli altri aggettivi in -mente che potreste trovare impressi nella custodia del DVD. Ho ricevuto conferma che i ricordi risplendono sempre di una luce particolare, tipo quella che si vede attraverso un prisma.
Perché, per quanto buono possa considerare il lavoro di Soderbergh, è innegabile che il regista tenti di inserire un sacco di cose nella sua pellicola tenendo poco conto dell'oretta e mezza concessagli dai produttori.
Vero, quantomeno l'approccio si scosta dal classico “virus stermina umani che tentano di fuggire dalla zona rossa prima che i caccia americani radano tutto al suolo”. Il suo è un tentativo di mettersi seduto e sondare cosa capiterebbe all'umanità in un contesto un filo più realistico. Ma comunque, forse per scelta, il risultato finale è un prodotto confuso che sbatte da un lato all'altro come una mosca malata.
Una miriade di attori di grande richiamo, alcuni dei quali destinati a lasciarci molto presto, per una serie di personaggi la cui unica caratteristica è la faccia dell'interprete che indossano.
Bene? Male? Mah, chi lo sa. Alla prima visione il prodotto mi colpì parecchio e mi restituì proprio quell'agitazione che immaginavo potesse travolgere il genere umano in caso di reale pandemia. C'è un po' di tutto nella sceneggiatura di Contagion, dalle istituzioni sanitarie agli squali di big pharma, dai blogger complottisti ai loro seguiti problematici, dai ricercatori ai medici in prima linea, fino ad arrivare alle persone comuni.
A bei tempi il personaggio che più mi colpì fu quello interpretato da Jude Law. Oggi forse cambierei il mio voto. Ma il punto non è quello.
Perché se in origine la pellicola mi conquistò grazie al suo inarrestabile incedere, stavolta proprio questa caratteristica me l'ha fatta rivalutare. C'è decisamente troppa roba in Contagion per potersi godere serenamente il suo contenuto. Servirebbe più respiro.
Se un po' mi conoscete, poi, immaginerete certamente che quel finale eco friendly lo trovo pure un po' stucchevole.
Comunque non c'è preveggenza qui. Gli sceneggiatori dichiararono di aver ascoltato la scienza nello scrivere della pandemia. E che sul rischio di un evento del genere l'allarme suonasse già da un pezzo era cosa risaputa.
Va detto che, in fin dei conti, l'umanità si è comportata meglio di quanto non sia accaduto nel film per quanto ne sappiamo.
Contagion rimane un film godibile, premiato dal suo ritmo confuso ma certamente rapidissimo e da una serie di attori che così, tutti insieme, raramente capita di vedere.
Una visione la merita.
Magari non durante una pandemia, ecco.


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