Vi racconto una storia: Hard Bolier

 


Sedevo immobile dentro la bolla rovente del mio ufficio. Le mani intrecciate dietro la testa, l’odore di fogna secca che saliva dalla strada e in bocca il sapore di piedi del caffè americano.
Roteavo la poltrona facendo vagare lo sguardo per evitare le scartoffie che mi attendevano con insopportabile pazienza sulla scrivania. Pensai che l’attaccapanni, con il mio cappello addosso, sembrasse un vecchio rachitico appoggiato al muro.
Poi l'ombra scura comparve oltre il vetro zigrinato della porta d'ingresso. Seguì un bussare pallido. Quasi accarezzato.
-Avanti- dissi, prima che la porta iniziasse a fare le fusa.
Ovviamente rimasi senza fiato: bionda, con un'acconciatura ricercata tutta ricci. Vestiva di paiettes, come fossa appena uscita da una festa di gran lusso. Cosa più che probabile, del resto.
Trucco integro e nemmeno una goccia di sudore. Portava persino una pelliccetta sulle spalle. Il caldo che ci stava sterminando tutti su di lei non aveva effetto.
Sembrava galleggiare mentre si avvicinava avvolta nella nuvola fruttata del suo profumo. In un istante la puzza di fogna si ritirò, sconfitta dall'aroma di quella donna.
A fissarle il seno abbastanza a lungo si poteva sentire lo scricchiolio dei palloncini che si gonfiano. Il vestito le fasciava il corpo mettendo in mostra una vita che sarei riuscito ad abbracciare solo con le dita di una mano.
Spostò la poltroncina e si sedette in un unico gesto. Elegante. Felina. Aprì la borsa microscopica che teneva in grembo ed estrasse il necessario per accendersi una sigaretta. Infilò il cilindretto di carta in uno di quei bocchini lunghi, poi ci fu il rumore metallico dell'accendino. La mano, fasciata da un lungo guanto di seta, le tremava rendendo l'operazione più complicata. Avrei dovuto dirle qualcosa a proposito del fumo e del mio ufficio, invece mi limitai a spingere verso di lei la tazza con quel che rimaneva del mio caffè.
Sorrise. Volevo spostare il ventilatore verso di lei perché estraesse un po' della sua freschezza e me la buttasse addosso. Non lo feci.
Fu lei a rompere quel silenzio. Trasse una grossa boccata, lasciò uscire il fumo azzurrognolo e attaccò. La sua voce suonava come il fruscio della seta sulla pelle.
-Mio marito è scomparso tre giorni fa. Deve aiutarmi. Temo lo abbiano ucciso.-
La guardai attentamente, tentando di mostrarle l'espressione più impassibile del mio repertorio. Poi appoggiai i gomiti sulla scrivania consumata e mi sporsi verso di lei puntando i miei occhi direttamente dentro i suoi. Le sue iridi erano verdi come un prato di primavera appena rasato.
-Mi creda- le dissi sfoderando la tonalità più sensuale di cui ero capace- farei qualsiasi cosa pur di aiutarla. Ma io sono l'idraulico, l'investigatore privato sta due civici più in giù, da quella parte.

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