CDC #141- Tutto e niente: The Signal (2014)

Mi piacciono i film strani. Quelli che osano un poco, che aggrediscono le convenzioni, che ci provano. A volte corrono il rischio di rendersi ridicoli, è inevitabile. Ma se sostenuti da una buona idea e da un obbiettivo preciso spesso si lasciano dietro qualcosa per cui farsi ricordare.
Poi ci sono quelli che buttano dentro tutto quanto, tentando disperatamente di farsi notare. Di dire al mondo che ci sono anche loro.
Roba tipo:

The Signal è la storia di quel tipo ancora piccolo che vuol giocare con quelli grandi e che, per alimentare le sue sfrenate ambizioni, decide di spendere buona parte del suo budget per ingaggiare quello famoso là. Dai, quello che ha fatto Matrix.
Laurence Fishbourne presto lo troveremo ovunque. Il suo Morpheus è un personaggio talmente iconico che ogni regista desideroso di rendersi credibile girando la fantascienza prova a convocarlo.
Il punto è che attorno a lui sarebbe utile costruire qualche cosa. Magari una trama, meglio ancora se rafforzata da un'idea di cinema.
Perché prendere tutte le suggestioni che fanno moda e cucirle assieme senza alcuna logica apparente non è detto che si riveli un'operazione di successo. Ok, in questo caso forse si, ma chi sono io per non schierarmi contro?
Nel momento in cui lo schermo si illumina quello che vi trovate di fronte è un viaggio lungo le highway americane di tre amici: uno che somiglia a Ethan Hawke, la sua fidanzata sempre pronta a fare scivolare una lacrima dall'occhio e quell'altro tizio che serve a niente e recita come il compagnuccio super esaltato delle elementari. Ma ben presto il film si tramuta in qualcosa di diverso. Tipo un thriller informatico con un hacker che rende la vita difficile agli amici in gita. Allora vi orientate a seguire qualcosa del genere, quando però la pellicola muta un'altra volta per diventare uno di quei POV che tanto vanno per la maggiore, con annesso omaggio al capostipite Blair Witch Project.
State già prendendo il telecomando per levare dallo schermo l'ennesima offesa ai danni del cinema, quando arrivano gli alieni e tutto cambia un'altra volta. Con un trappolone narrativo nel quale non casca nessuno, ci troviamo dentro un laboratorio per seguire una di quelle storie di prigioni e fughe. Ma ecco che giunge non si sa da dove il post-apocalittico di un mondo desolato e popolato da gente alquanto bizzarra. Come dite? Ci vorrebbe un bel finale alla Dark City? Pronti, eccovelo servito ancora fumante
.
Non è che un film debba seguire per forza i canoni di un unico genere. Ma cribbio, quando metti dentro tutta questa roba nella tua opera assicurati di avere abbastanza tempo per approfondirla. Non puoi saltare di qua e di la senza che le tue idee si depositino e germoglino.
Per inserire la marmellata mista William Eubank e lo sceneggiatore David Frigerio sono costretti a ricorrere a troppe forzature, rinunciando di fatto per principio a ogni possibile patto con lo spettatore. Una scelta scellerata che viene ricompensata solo in parte dall'inventiva estetica di Eubank. Tutto quello che appare sullo schermo sa di già visto altrove e le idee che dovrebbero spingere avanti la pellicola cascano al suolo come sacchi di patate.
Eubank prova a ravvivare il suo lavoro attraverso l'utilizzo di strani e confusi falshback sulla corsa. Immagino che questo argomento, visto anche i problemi del protagonista e il trapianto di gambe finale, debbano fungere da fil rouge del racconto. Ma non ho capito perché il cosplayer di Ethan Hawke porta le stampelle, quindi il sottotesto non mi è arrivato.
Invece spiccano altre scelte, come quella di sottolineare i momenti di tensione con un pianoforte dalla eco quasi romantica. Originale, non c'è che dire. Peccato che sia anche una trovata inefficace e allontani ancora di più dai personaggi.
Ma si sa, in molti film qualcosa da salvare lo si trova sempre.
Qui no invece. Tanto per farmi andare fuori di testa fino in fondo, alla fine, grazie agli innesti, mi trasforma un paio di personaggi in supereroi, che mancavano solo loro all'appello.
Il punto vero però è che non ci riesce. A farmi imbufalire, intendo. Alla conclusione della visione, l'unica cosa che resta è un mah grande come una casa. Forse la cosa peggiore per un'opera del genere, tanto ambiziosa da voler diventare tutto quanto, ma così poco concreta da non essere sostanzialmente niente.
Una presenza alla quale restare indifferenti.
Guardatelo o no, sarà lo stesso.





Commenti