CDC #137- Nostalgia canaglia, chi la sfrutta a volte sbaglia: The Gentlemen (2020)

Ce n'è voluto di tempo, ma a quanto pare Guy Ritchie l'ha capita. Dopo anni passati a tentare di convertire alla tamarraggine leggende e romanzi storici vari, si è arreso all'evidenza. La roba in costume non fa per lui.


L'ex signor Ciccone, quindi, riabbraccia il post-moderno tarantiniano (qualunque cosa questa sequenza di parole significhi) proponendo una commedia al sapor di malavita come quelle che una ventina d'anni fa l'hanno piazzato all'attenzione del pubblico.
Si torna nella periferia londinese dunque, assieme agli americani che vogliono fare i gradassi, agli ebrei che vanno a caccia di affari, alla mafia cinese che vuol prendersi tutto mostrando i tatuaggi col drago e a tutti gli stereotipi tipici di un qualsiasi Guy Ritchie d'annata.
Il tutto amalgamato da una sceneggiatura brillante, con intenti meta-cinematografici che si palesano attraverso una trovata narrativa esagerata ma divertente. Insomma, un prodottino con tutto il potenziale per risultare il perfetto compagno di bevute, quello capace di farvi svoltare una serata moscia grazie al suo infallibile umorismo.
Non fosse che qui manca la freschezza necessaria per farci stare al gioco.

The Gentlemen ricorda il King di World's End: quel vecchio amico dei vent'anni che da solo teneva su le serate e che tutti volevamo nella banda per rendere i nostri sabati sera epocali. Solo che, quando si ripresenta dopo un lungo periodo di latitanza, per conquistarci tenta ancora di giocare le stesse carte dell'epoca, risultando la copia sbiadita di se stesso.
Caro Guy, rifare The Snatch dopo quattro lustri sperando di intercettare lo stesso pubblico e di divertirlo alla stessa maniera è un'operazione a perdere, lasciatelo dire. Perché persino Tarantino ha smesso di fare i film alla Tarantino (quei film alla Tarantino, quantomeno). Ai bei tempi Ritchie è stato tra i pochi a potersi vantare di aver compreso lo spirito delle opere di Quintino. Poi però ci hanno provato più o meno tutti e il genere è diventato un filo indigesto. E' almeno dagli anni zero che questo tipo di racconto ha esaurito la sua potenza. Troppa cacca in vent'anni. Davvero troppa.
Sperare che The Gentlemen non sembrasse sorpassato una settimana prima di vedere la luce è stato un atto di fede che non ha dato i risultati sperati.
Non del tutto almeno.
Intanto perché stavolta Ritchie si porta dietro tutta una schiera di attori da botteghino. Ai bei tempi poteva giocarsi giusto un Brad Pitt, che per altro amava il cinema parrocchiale e si dedicava spesso a prodotti di nicchia. Oggi il regista inglese può permettersi di ingaggiare gente come Mat Mac, Hugh Grant, Charlie Hunnam, Colin Farrel e tutta la compagnia cantante. Con questo non voglio dire che gli interpreti non funzionino, anzi. I ragazzi sembrano divertirsi parecchio e persino Hunnam riesce a emettere qualcosa di più dei soliti grugniti col vocione.
Il fatto è che tutta questa gente vuole spazio. Serve una patina particolare per renderli ganzi come pretendono. Occorre plastificare.
Vuoi mettere con Jason Statham e Vinnie Jones che vivevano di fango e birra? Altri tempi Guy, altri tempi. Con i loro visi semisconosciuti (all'epoca) quelli bucavano lo schermo. Questi ci provano, ma li conosciamo già tutti. Non è mica la stessa cosa.

Anche se forse Ritchie ci ha creduto che questa pellicola potesse essere la stessa cosa. Che vent'anni non fossero passati e che di colpo si potesse tornare alla vecchia Londra come se nulla fosse successo. Un'auto citazione. Un omaggio a se stesso. Chissà.
Alla fine quello che si può salvare nella marea di chiacchiere che soffoca la visione è forse proprio la capacità degli attori, gente in grado di mettere qualche tratto in più ai loro personaggi e di far quantomeno sorridere durante la visione.
Ma il tempo non torna indietro, nemmeno per chi, nei novanta, è stato capace di piazzare almeno una stella nel firmamento del cinema.
Perché rivedere quell'amico leggendario di tanti anni fa è comunque un piacere. Scoprire che è rimasto indietro, però, mette anche un filo di tristezza.


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