CDC #136- Un mercato di medicine e buoni sentimenti: Dallas Buyers Club (2014)

Dallas Buyers Club piacque a tutti ricordate? Statuette, premietti, ometti; il film di Jean-Marc Vallèe passò in rassegna l'oro lavorato dell'epoca e, come un bandito texano, portò a casa tutto il malloppo.
Io acquistai il DVD a stretto giro, non appena fu reso disponibile alla vendita. Del resto Mac viveva il suo periodo migliore, si favoleggiava di un Jared Leto finalmente all'altezza della sua fama e tutti magnificavano le lodi di una pellicola toccante e indimenticabile. Insomma, non potevo farmelo scappare.
Tuttavia ho passato sei anni a osservare la custodia sigillata di quel disco sentendo risuonare un allarme stridente dentro la mia testa.
Beh ieri ho preso il coraggio a due mani è mi sono buttato contro quell'avviso fastidioso.
Vallèe sceglie una strada difficile per mettere in scena la sua opera, ovvero quella di donare il centro della scena a un protagonista respingente, omofobo, vagamente razzista e poco simpatico. Il prototipo del buzzurro texano, potremmo dire, immerso in un contesto fatto di pregiudizi dal quale allontanarsi significa perdere ogni forma di rispetto.
Quando scopre di covare il virus dell'HIV tutto quel mondo impregnato di testosterone lo espelle senza titubanza, relegandolo al ruolo di scarto che lo stesso Ron Woodroof ha riservato a tanti.
Ovviamente il nostro Ron inizia a intraprendere un percorso di redenzione, che lo porterà a superare i propri limiti e a imbastire una lotta contro i giganti del farmaco per promuovere cure del dolore per tutti coloro che vivono la sua condizione.
Quanti cuoricini signori miei. Quanti cuoricini scientificamente creati in laboratorio, signori miei.

A volte basta lasciar passare il momento di euforia condivisa per non farsi condizionare troppo nel giudizio. Dallars Buyers Club è un buon film e fin qui ci siamo. Una storia interessante che affonda le proprie radici nel pieno degli anni ottanta, quando cioè l'avanzata dell'AIDS rappresentava un terrificante mistero che nessuno sapeva risolvere.
Però viene difficile, guardandolo oggi, definirlo capolavoro. L'opera di Vallèe va a muovere quel lato della coscienza che spesso Hollywood agita con i suoi prodotti orientati al politicamente corretto trattato come genere di consumo.
Quando Ron incontra il Rayon di Jared Leto, schifandolo come fosse un ratto appestato, in realtà il destino dei due personaggi appare già segnato. Quale sarà il rapporto che verrà a instaurarsi tra loro è scritto alla pagina uno del manuale di sceneggiatura. Che tra Ron e la dottoressa ce ne sarà (e che lei rappresenti la parte positiva del mondo medico nella battaglia contro Big Pharma) è una cosa ovvia fin da quando vediamo il visetto di Jennifer Gardner comparire in scena.
Tutto qui è già stato scritto e no, il fatto che, al solito, sui titoli di testa ci venga assicurato che si tratti di una storia vera non aiuta per nulla a migliorare il coinvolgimento.
Del resto mi è capitato di recente con una pellicola per certi versi simile a questa, basata cioè su una sceneggiatura precompilata alla quale bastava sostituire i nomi dei personaggi: quando si tratta di opere del genere il mio cuore non si scalda più.
Agli americani queste storie di eroi che dal piccolo della loro realtà sfidano il giganti dell'industria piacciono davvero tanto. Anche se raccontano tutte la stessa cosa e si concludono tutte con l'inevitabile procedimento penale dove il giudice da torto ai nostri impavidi ma bacchetta sulle nocche i cattivi costringendoli inutilmente a rivedere le proprie azioni.
Dev'essere per quella cosa del mito a stelle e strisce, che ripete all'infinito che basta una buona idea e tanta volontà per sfondare. Sulla collina queste leggende le conoscono e ne sfornano a bizzeffe.

Va detto che quantomeno in Dallas Buyers Club ci sono cose che funzionano.
Mac e Jared Leto si sono ridotti letteralmente all'osso per recitare in questo film. Per quanto io sostenga che non basti l'adattamento fisico a creare un grande attore, è giusto sottolineare come qui i due si trovino piuttosto bene. E (lo dico con un'espressione sorpresa dipinta in faccia) il grosso del merito va affidato a Leto, capace di fondersi alla perfezione con il suo Rayon tanto da renderlo credibile in ogni sfaccettatura. Di riflesso pure Mac ne beneficia, perché il suo texano rude senza un contraltare all'altezza non sarebbe risultato troppo diverso dall'investigatore bruciato di True Detective. Possiede la sua cifra Mac e lo apprezzo per questo.
Jenny invece sta li. Fa la brava ragazza. Sorride. Ci guarda.  
Insomma, Dallas Buyers Club è il classico prodotto della collina con un gran potenziale, che a volte esprime e in altre si accontenta di suggerire.
Sa rappresentare abbastanza bene, soprattutto nella prima parte del racconto, il concetto di diffidenza, i limiti del pregiudizio e tutto quel discorso sulla capacità di andare oltre lo stesso per scoprire rapporti importanti. Sa anche mostrarci come certe barriere vengano infrante quando ormai non c'è più niente da perdere, quasi dicendoci di fare altrettanto e di migliorare le nostre vite prima che sia troppo tardi.
Ma proprio per questo costruisce tutta la propria esistenza sul tentare di dire la cosa giusta, di far sembrare sbagliate le persone che se lo meritano, di tratteggiare col pennarello grosso le fazioni in campo.
Ci mette davanti al punto di vista di uno che con i suoi stereotipi verrà a patti, è vero, ma costruendoci su un arco narrativo talmente prevedibile da farlo sembrare ovvio.
Un buon film tutto sommato. Ma lontano dal capolavoro imperdibile che ci si aspetterebbe leggendo le documentazioni dell'epoca.




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