CDC #129- Non chiamatelo Jack: The Limehouse Golem (2017)

Alzi la mano chi non conosce la storia di Jack Lo Squartatore. Ok, va bene, non vedo le vostre mani. Non ci pensavo, scusate.
Comunque immagino che molti tra voi siano giunti a conoscenza delle peripezie perpetrate dal più famigerato assassino seriale della storia. Del resto Jack è stato raccontato in decinaia di libri e film, fin dai tempi in cui le cronache iniziarono a parlare di lui. Chissà cos'è che ci affascina di questi esseri?
Ad ogni modo le vicende di Jack sono belle, ma solo finché non stancano. Quindi cosa c'è di meglio che riprenderle in mano cambiando il nome d'arte dell'omicida?
Non rispondete a questa domanda. Ve lo chiedo per favore.

E' vero. Ufficialmente Juan Carlos Medina per la sua sceneggiatura si rifà a un romanzo di Peter Acroyd, pure alquanto appassionante si direbbe dai commenti che si trovano in internet. Anche se per ora preferisco andare sulla fiducia.
Però fatico a credere che il regista non si sia quantomeno ispirato alle vicende dello Squartatore. Persino la soluzione del presunto giallo riporta in vita una delle tante leggende che circondano l'antico assassino londinese.
L'aspetto estetico è il punto forte della pellicola, con la sua ambientazione fangosa e ottocentesca sulla quale gli scenografi hanno lavorato bene (anche se alcuni prodotti televisivi recenti riescono a tenere il passo). Però gli scenari sono quelli, la Londra rappresentata nel film è quella e tutto rimanda a quel tipo di racconto.
Che poi non sarebbe nemmeno una scelta sbagliata di per se. Il problema è cosa c'è dentro questo racconto.
Credo che chiunque decida di approcciarsi a The Limehouse Golem si aspetti da Medina un giallo cupo, con forti dosi di mistero e l'avvincente percorso di un'indagine. Ecco, formalmente dentro la pellicola c'è questo. Ma la pratica è tutta un'altra cosa.
Se gli sceneggiatori volevano depistare lo spettatore attraverso l'utilizzo di falsi colpevoli e indizi posizionati accuratamente, non sono stati molto bravi. Di tutta la pletora dei possibili rei, di fatto nessuno viene mai approfondito. Un solo personaggio può godere dell'attenzione del regista. Un carattere a cui vengono donati flashback, ricordi, scelte, momenti di riflessione. Ora, se l'identità dell'apocrifo Jack doveva essere un mistero, questo atteggiamento finisce per svelarlo ben prima del momento opportuno, riducendo tutta la visione a una lunga agonia nell'attesa del “te l'avevo detto” cantato in coro da tutto il pubblico in sala.
Perché, tra le altre cose, The Limehouse Golem è anche un film che fatica un sacco a srotolarsi, preso nella trappola della convenzione, nel vortice del già visto, nella stanchezza del prevedibile.
Non c'è ritmo qui. Ma non è solo questo. Manca la voglia di stare con Medina, perché si appoggia al personaggio sbagliato non degnando nessun altro di attenzione. Ho fatto una fatica invereconda a reggere il moccolo all'unico vero protagonista di questa storia fingendo di guardare da un'altra parte. Speravo in un colpo di scena che mi rivelasse quanto sono stupido. Invece tutto è andato come previsto.
Ma Medina conosce i propri limiti, si direbbe, quindi se non gli riesce di segnare il punto, prova a spostare tutto il gioco in un altro campo, quello in cui tutti si lanciano quando sono a caccia di apprezzamenti.
Insomma, la butta sul sociale.

Ecco quindi che la vicenda prende la piega dell'emancipazione. Lizzie Cree (portata sulle schermo da Olivia Cook) è la donna che si è fatta da sola. Che è andata contro tutto e tutti pur di guadagnarsi il rispetto, prima del suo mondo, poi del resto della società britannica. Insomma della ragazza che pare piccola e indifesa e invece è forte come un toro e supera tutte le difficoltà.
Care lettrici, so che sono argomenti importanti, non pensate a me come al bruto uomo delle caverne che gira armato di clava. Tuttavia gettarli in ogni prodotto come fossero un sacco di patate è una mossa che non porta il dibattito a un livello elevato. Pare più il compitino messo insieme per costruirsi una linea difensiva nel momento dell'inevitabile stroncatura.
Per altro proprio Medina smentisce se stesso, riuscendo a dare al suo messaggio una potenza mica da ridere verso la conclusione. Solo che non potendo svelarsi troppo nasconde tutto il proprio potenziale dietro il paravento del finto giallo impegnato, finendo per ammorbarmi a morte.
Non so se questo The Limehouse Golem sia piaciuto davvero a qualcuno. Di fatto non ne avevo mai sentito parlare, il che vuol dire che dopo il rapido passaggio nelle sale è stato fatto scomparire nel nulla. Potremmo anche fantasticare di come, in un paese conservatore come il nostro, certi messaggi vengano nascosti per mantenere saldi valori ormai superati dal nuovo millennio. Ma sarebbe concedergli troppo.
Secondo me è semplicemente un prodotto noioso e stanco che nulla ha da offrire oltre a una bella scenografia.
Poi oh. Vedete voi cosa farne.




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