CDC #121- Davide contro Golia al contrario: Le Mans 66 La Grande Sfida (Ford v Ferrari, 2019)

 A Hollywood ci provano sempre. Ogni occasione è buona per dipingere gli americani come i primi della classe. Gente capace di lanciarsi in sfide impossibili contro avversari più dotati e di uscirne trionfante.

Stavolta il ruolo di grande nemico tocca, udite udite, agli italiani. Quelli di Enzo Ferrari nella fattispecie, l'uomo che osò dominare i circuiti dal basso della sua fabbrichetta di artigiani a dispetto della grande potenza industriale a stelle e strisce.

Quale affronto insopportabile.


Non è ne tempo ne luogo per affrontare l'effettivo tentativo di accordo che intercorse tra Ford e Ferrari. Tuttavia le cronache descrivono il grande Vecchio come un uomo molto riservato, che non frequentava abitualmente i circuiti e che difficilmente provava piacevoli i bagni di folla. Trasformarlo in un divo acclamato dalla propria corte mi pare una licenza poetica abbastanza generosa.

Ma si sa. Come spesso accade in opere di questo genere, la collina prende spunto dalla realtà e poi ci ricama sopra la propria epica superomistica senza farsi troppi problemi.

Anche se è vero che Manigold (nonostante il nome) non è esattamente un disgraziato e sa benissimo che trasformare la Ford Motor Company in una piccola realtà che sfida il gigante è troppo anche per gli studios. Quindi costruisce un conflitto nel conflitto, schierando i colletti bianchi di Detroit dalla parte dei cattivi, lasciando che l'impresa venga descritta come opera dei testardi Shelby e Miles, a dispetto dei pubblicitari e dei ragionieri di palazzo.

Insomma, in qualche modo il regista ci riesce. Ancora una volta porta avanti la lotta del piccolo meccanico pieno di buona volontà facendogli vincere la grande battaglia contro il finanziere, continuando a venderci l'illusione che anche tra le scoscese colline losangeline funzioni così.

Naturalmente con queste premesse la pellicola va come una GT40, perché può costruire la sua narrazione prendendo come centro di gravità il cameratismo che coinvolge Shelby e Miles. Un'amicizia virile, che si rafforza tra l'officina e il circuito, attraverso il profumo di benzina e le facce nere d'olio.

Un canto alla passione, se vogliamo. Quella per le corse di un periodo nel quale la meccanica prevaleva sull'elettronica, quando un cacciavite poteva risolvere molti guai e schiantarsi veniva facile, oltre che essere letale in molte occasioni.

Si passa per la consueta crescita dei personaggi, con Ken Miles che da talentuoso e recalcitrante pilota si trasforma in uomo squadra, finendo per farsi soffiare un successo già acquisito per regalare a Ford l'onore della passerella.

Tutto piuttosto classico, ma anche foriero di emozioni, perché a dare il volto ai personaggi di punta ci sono Matt Damon e Christian Bale, due che hanno l'aria di divertirsi un mondo e che si prendono bene, dando sostanza al concetto di amicizia e reggendo bene l'impalcatura della trama.


Dal canto suo Manigold mette insieme una bella pellicola, fondata su di una ricostruzione storica che in alcuni momenti ha del miracoloso e integrando il tutto con scene di corsa tutto sommato discrete.

Certo, non siamo di fronte al Le Mans di McQueen o al prodigioso Grand Prix di Frankeneimer, tuttavia le sequenze create dal regista si difendono bene, anche se non assumono mai preponderanza durante la visione.

Nonostante il titolo del film faccia riferimento a un evento specifico infatti, la Le Mans del 66 si prende una parte tutto sommato minima del minutaggio, riducendo al massimo le scene notturne e lasciando che la corsa venga trattata per eventi salienti, senza che il pubblico generalista abbia da star troppo a farsi sfondare le orecchie dal rombo dei motori. Scelta che personalmente trovo rivedibile, ma che capisco, in quanto le corse non sono materia per tutti e qui sono asservite al vero nucleo del racconto.

Parlando tra noi, forse vedere Bandini e Scarfiotti nel ruolo dei brutti ceffi suona un filino eccessivo. Ma è una caratterizzazione in linea con le scelte stilistiche del film che prende categoricamente la via della favola con gli eroi popolari anglo-americani nel ruolo di vincenti.

Ci posso stare. Uno perché sentire parlare italiano correttamente all'interno di una pellicola di Hollywood regala sempre sensazioni particolari. Due perché comunque Le Mans 66 il suo lo porta a casa, attraverso un film divertente che riesce a non far sentire mai il peso della sua lunghezza.

Un giro lo vale.

Ciao



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