Vi racconto una storia: Tempi Difficili


 Lentamente risalì lungo il suo corpo, donandole un po' del suo respiro caldo sulla pelle. Con un bacio lieve le sfiorò l'ombelico, provocandole una contrazione dei muscoli addominali. A quella scarica elettrica incontrollabile lei rispose con un gemito appena percettibile e lui sorrise all'oscurità, soddisfatto della reazione della donna e dei suoi sforzi nel mantenere il controllo.

Godevano del loro momento seppelliti sotto pesanti strati di coperte, di modo che il gelo della stanza non li avvinghiasse strappandoli al piacere. Dentro a quel tepore buio, i due si toccarono delicatamente, si annusarono e si esplorarono tentando di far durare quei gesti il più possibile. Li e in quegli istanti il tempo era il bene più prezioso di cui potevano disporre.

Presto lui l'avrebbe invasa con il suo nettare sterile annegandole inutilmente gli ovuli infecondi. Non ci sarebbero state conseguenze a quell'atto. Non ce n'erano più da tempo. Per nessuno.

Come spesso accade a chi aspetta da troppo tempo, il piacere durò troppo poco, ma almeno ci fu per entrambi. Poi si fissarono nei volti appena percettibili. Un tempo sarebbero rimasti sotto le lenzuola, a parlare sottovoce per il semplice piacere di ascoltarsi, di viversi ancora. Ormai non potevano più concedersi certi lussi. Così lui le prese la testa tra le mani e con i pollici le accarezzò il viso, appena sotto gli occhi. Sentì l'umidità sul suo volto, lacrime versate per il piacere appena provato, oppure per la tristezza di non sapere quando e se si sarebbe presentata una nuova opportunità. Anche quella volta, come tutte le altre, poteva essere l'ultima.

Gli venne da piangere. Una voglia di urlare gli invase la cassa toracica. Spaccare ogni cosa solo con la potenza della propria voce. Scacciare tutto, prenderla e portarla via di li, via da tutto.

Ma non si poteva fare nulla di tutto ciò, lo sapeva benissimo. Non era ancora impazzito, anche se forse avrebbe dovuto.

Sgusciarono fuori da quel bozzolo caldo a malincuore e subito il freddo li aggredì con una violenza quasi fisica. Fu il segnale che la fretta da li in poi avrebbe ricominciato a pressarli. Si vestirono rapidamente indossando capi su capi, recuperati nel corso del loro pellegrinaggio. Quando furono interamente coperti i loro corpi apparirono informi, ormai indistinguibili l'uno dall'altro. Si guardarono negli occhi, una delle poche parti rimaste libere e si mandarono un rapido cenno d'assenso. Si strinsero le mani, rese insensibili da quattro paia di guanti, e uscirono da li.

Scesero in giardino dove raggiunsero gli altri, sistematisi a guardia del casolare mentre loro consumavano il loro turno. Si separarono senza guardarsi. Lei raccolse un bastone elastico e resistente appuntito a un'estremità. Lui prese una spranga di metallo.

Si posizionarono ai loro posti di guardia, alle estremità opposte del cortile. Entrambi, e come loro tutte le sentinelle, focalizzarono lo sguardo verso la foresta scheletrica che si chiudeva davanti a loro, in cerca di ogni movimento che potesse metterli allerta. Speravano di non dover vedere nulla, specialmente nessuna di quelle terribili creature che infestavano ogni luogo. In tal caso non ci sarebbe stata nessuna arma efficace, se non la speranza di non essere la persona scelta per essere rapita e trasformata.

Attesero immobili finché anche l'ultima coppia non uscì dalla casa. Poi iniziarono a prepararsi per il viaggio.

Dovevano proseguire lungo l'autostrada. Stavano viaggiando da mesi, forse anni, nessuno avrebbe potuto dirlo con certezza. Cercavano riparo da quella pioggia viscida e filamentosa che ogni tanto scendeva da quel cielo gravido di tenebra che li sopraffaceva. Speravano di trovare un luogo dove il sole non avesse smesso di sorgere quella mattina di novembre di tanto tempo prima.

Lo avrebbero fatto in silenzio, con gli elementi più deboli al centro. Nessuno avrebbe detto una parola per evitare di irritare quegli orridi esseri che si annidavano ovunque, usciti da chissà quale incubo.

Così, mentre vedeva gli altri muoversi lenti, intenti nei preparativi, all'uomo venne in mente un pensiero sconvolgente. Si rese conto di non ricordare più il suono della propria voce. E nemmeno quella di lei, che tanto lo aveva incantato, non sembrava risiedere in nessun angolo della sua memoria.

Piantò li tutte le sue cose e si diresse a passi rapidi verso la donna. Sotto i suoi piedi, foglie antiche come il mondo scricchiolavano. Gli altri si voltarono verso di lui. I loro occhi terrorizzati lo osservavano tra gli strati di lana che copriva i loro volti. Lui andò verso di lei e le prese le mani. La guardò e non disse nulla. Lei gli sorrise, lo capì dal modo in cui si mossero le sue palpebre. Aveva capito.

Così si tennero per mano e si inoltrarono dentro la foresta. Tutti gli altri, atterriti, li videro scomparire nell'oscurità tra gli alberi rinsecchiti e coperti di fluido nero. Poi ripresero i preparativi.

Il gruppo aveva già iniziato il viaggio quando si udirono due voci urlare. Non si era mai sentito un suono simile. O forse si, solo che non lo ricordava nessuno. Parevano le grida di qualcuno mentre veniva smembrato. Ma magari era solo l'esultanza di chi, dopo tanto tempo, può di nuovo ascoltare la propria voce.

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