Qualcosa finisce, qualcosa inizia.
Se non siete vissuti in una caverna
sprofondata nel gelo dell'Antartide, probabilmente siete venuti a
conoscenza della recente scomparsa di Fabrizio Frizzi.
Ora, non starò qui a pontificare su
quanto questo presentatore fosse una persona buona perché non lo
conoscevo. Nemmeno vi racconterò di come mi mancheranno le sue
trasmissioni, non essendo io un particolare appassionato del genere
di varietà che questo artista era solito condurre.
Un po' mi dispiace, certo, visto che
comunque non mi sfuggiva come il noto presentatore fosse garbato
nello stile, caratteristica sempre meno comune in una televisione
dominata da esagitati che si urlano in faccia, streghe del pomeriggio
utili solo a promuovere dolore e mettere il mostro in vetrina e
pseudo giornalismo capace solamente di piazzare microfoni davanti a
bocche in grado di dire qualunque cosa.
Ma sto andando fuori tema.
Apprendere della scomparsa di Frizzi,
in realtà, ha smosso qualcosa che se ne stava addormentato dentro di
me da un po' di tempo. La consapevolezza che non avrò più la
possibilità di ascoltare la sua voce, seppur per sbaglio magari, è
come se mi avesse fatto mancare un appiglio sicuro.
Ma come è possibile una cosa del
genere?
Molti di voi si chiederanno cosa
diavolo c'entri adesso la foto che ho pubblicato. Mantenete la calma
e lasciatemi costruire l'attesa.
Nei fin troppo ricordati anni '80 chi
vi scrive viveva la sua infanzia. Fabrizio Frizzi, nel contempo, si
occupava della tivù dei ragazzi, ovviamente sulle frequenze di mamma
Rai.
Inevitabile che queste due realtà
finissero per incontrarsi, seppur solo attraverso uno schermo. In
quei pomeriggi passati assieme al programma contenitore (del quale
non ricordo il nome, abbiate pazienza), iniziai a seguire con
assiduità le puntate della Pantera Rosa, striscia quotidiana che mi
piaceva un sacco, si direbbe. (e ci siamo arrivati, visto?)
Fu Frizzi ad annunciare, non senza un
certo rammarico (ma questo potrebbe essere solo un ricordo falso
incollato dopo), la fine della messa in onda della mia striscia
preferita.
Chi in vita sua ha seguito una serie TV
può forse immaginare il mio dolore atroce nell'apprendere la
notizia. Una dramma che mi si presentava davanti per la prima volta e
che mi lasciò inconsolabile a versare lacrime di sale.
Non penso che mi fossi innamorato della
bestiaccia rosa, ci tengo a precisarlo. Squilibrato ve lo concedo, ma
non fino a questo punto. Piuttosto fu forse la prima volta che un
evento fuori dal mio controllo interruppe un'abitudine che a me
faceva stare bene. Ancora oggi se non faccio le stesse cose con una
discreta dose di ripetitività mi sento un filo a disagio.
Con il tempo ho imparato a gestire
questa cosa e mi fa meno effetto di un tempo. Quando finisce una
serie TV, per esempio, ho la forza di alzarmi e superare la cosa con
una certa spregiudicatezza, riuscendo a inumidire solo piccole
porzioni del pavimento. Insomma, con l'età si finisce per costruirsi
una corazza.
Ma da bambino non potevo essere
preparato a questo. Così sentii la lancinante puntura della
sofferenza. Ma il bravo presentatore, con voce calma e pacata, fu
capace di consolarmi, facendomi capire come, per qualcosa che
finisce, ci sarà sempre una cosa nuova che inizia.
Quel suo modo di porsi e di rivolgersi
al pubblico, da li in poi, ha sempre avuto un effetto calmante su di
me, quasi un balsamo da passare sulla coscienza.
Ma la domanda vera è: a che diavolo è
servito questo post? Forse è il mio modo di ricordare un'artista
scomparso? Non credo, chi lo ha conosciuto o ne ha seguito con
affetto la carriera televisiva lo ha fatto sicuramente in modo molto
più sentito di me.
Magari è solo un ricordo, così in
generale. Pescato nella foschia tra un Braccio di Ferro gigante che
mi terrorizzava, l'orgoglio di rivendicare i cinque anni e mezzo in
luogo dei cinque registrati dall'anagrafe o il sogno ricorrente di
stare seduto davanti alla TV con tutta la famiglia, compresa quella
sorella gemella che non ho mai avuto. Un momento per guardarmi dentro
con indulgenza e ricordarmi che anche io, un tempo, sono stato
bambino.
In realtà non so nemmeno io perché ho
buttato giù queste righe. Scrivere racconti o post da dare in pasto
alla rete serve? Tenere un blog è utile? Forse, vedendo il seguito
non proprio oceanico delle mie operette, no.
Ma io non riesco a farne a meno.
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