CDC#34- La guerra secondo Veroheven- Black Book
Dovrei dire qualcosa di intelligente
per esordire al meglio con questo post. Una battuta o due che possano
mostrare sagacia e brillantezza e che fungano da elogio a un film
dalle tematiche forti e costruito in maniera precisa.
Il fatto è che l'unica immagine
ricorrente che mi appare di questo lavoro è Carice Van Houten di
rosso vestita.
Sono una bestia, lo so. Ma ho una
predilezione per le donne avvolte nella seta e va detto che miss van
Houten è una signora in rosso che si è fatta rispettare in svariate
occasioni.
Non dovrebbe essere questo il punto
dopo la visione di un Verhoeven, ma sono un debole, non posso farci
niente.
La storia è quella di Rachel Stein,
giovane ebrea scampata a un agguato nazista. La ragazza si rifà
un'identità e con il nome di Ellis De Vries decide di aiutare la
resistenza olandese infiltrandosi nel covo dei nazisti.
Detta così, a grandi linee, l'opera di
Verhoeven potrebbe sembrare la solita narrazione di resistenza
all'invasione tedesca. Vero, da un certo punto di vista, ma qui si
vuole andare oltre.
Lo scopo principale di Verhoeven,
infatti, è quello di spiegarci come l'istinto di sopravvivenza tenda
a tirar fuori il lato peggiore dell'essere umano. Che poi è quello
meno filtrato.
Per quanto non lasci da parte l'aspetto
eroico degli anti-nazisti, il film va a scavare in un terreno non
così puro come certa retorica pretenderebbe di descriverlo.
Pregiudizi latenti, rivalità e una
certa tendenza al tradimento, sono aspetti che minano il monolite
nazista così come le schiere dei ribelli.
Perciò, quando tutto finisce, per chi
si trova imprigionato tra due fuochi la liberazione non è tale. La
rabbia e la vendetta trovano sfogo sotto la maschera della gioia,
trasformando un popolo vittima del giogo invasore in un marasma
violento e feroce.
Il regista olandese, abituato a destare
un certo scandalo pare, non toglie mai la macchina da presa. Ci fa
sentire il peso dell'umiliazione, della crudeltà e della violenza di
un periodo storico infausto. E lo fa a senza porsi troppi problemi su
cosa sia politicamente corretto mostrare o meno. Non usa il filtro
dei vincitori e ci mostra una storia di uomini e di donne per quello
che è.
Il pericolo costante, le stesse
personalità dei protagonisti continuamente sballottate tra giusti
che si comportano male e sbagliati che sembrano essere umani, il
sottile filo del doppio gioco, trasformano l'opera in questione in un
thriller spionistico con poche vere pecche,
Insomma, non proprio un utilizzo
popolare della storia quello di Paul, ma certamente un lavoro che
racconta la realtà di un'epoca non facile cercando di mettere tutti
quanti sullo stesso piano. Ovvero l'assenza di umanità dell'umanità.
Certo è che di pellicola Black Book ne
occupa parecchia. Un chilometraggio che fa avvertire il proprio peso
soprattutto nella prima frazione. Qui Verhoeven, da bravo narratore,
prepara la tavola per il piatto principale, ma bisogna sottolineare
che, fino a quando il gioco delle spie non prende il via, il film non
conquista.
Il regista olandese descrive una
situazione che, per quanto grave di per se, è stata raccontata molte
volte dal cinema, forse in modi anche più interessanti di questo.
Inoltre Verhoeven sceglie
deliberatamente di non farci provare apprensione per la nostra
protagonista. Persino quando sembra destinata al plotone di
esecuzione, con tutta l'Olanda libera che brama per avere la sua
testa, in realtà siamo certi del fatto che lei non cadrà durante la
sua missione.
Ciò avviene perché il regista si è
messo in testa di costruire una trama circolare e ci mostra subito in
avvio l'eroina del film viva e vegeta dopo gli avvenimenti
raccontati. E' probabile che la suspance, o almeno la parte che
riguarda Rachel, non fosse tra le priorità in questa storia. Eppure
mettercene un po' non sarebbe stata una disgrazia, visto e
considerato che i dieci minuti di apertura potevano essere spostati
in fondo senza che ciò pregiudicasse minimamente l'effetto finale
della vicenda.
Probabilmente il motivo principale del
mio difficile rapporto con questa storia sta tutto in questi
dettagli.
Problemi che ci sono e si sentono e che
mi mettono in forte difficoltà. Perché da un punto di vista
meramente oggettivo non posso certo consigliarvi di lasciare perdere.
Materiale qui ce n'è e va ben oltre la bellezza aggressiva di Carice
van Houten (che rimane indiscutibile, sia chiaro).
Indubbiamente è un film che sopravvive
alla semplice visione. Ha la forza di raccontare qualcosa da un punto
di vista neutrale, approfittando dei tanti anni passati per creare un
filtro e osservare gli avvenimenti da una prospettiva un attimo più
ampia.
Però è anche un mattone, inutile
girarci intorno. Per buona parte del suo svolgimento la trama si
muove lenta e non pare destinata a conquistare. E quando finalmente
lo fa, non da nessun appiglio per sentirsi un po' in ansia per Ellis.
Insomma, una di quelle pellicole che un
passaggio lo meritano di sicuro. Solo magari in un momento durante il
quale non ci si sente troppo stanchi, che il sonno è infido e se ne
sta sempre in agguato.
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