Il giorno di Jean

Se siete amanti di uno sport lo sapete benissimo. La vostra disciplina preferita vi conquista ogni giorno, un episodio per volta, rendendovi partecipi di una storia che, se filtrata attraverso il giusto sguardo, può assumere i contorni dell'epica.
Questo è il racconto, un filino romanzato ovviamente, di una di queste vicende speciali. La storia del giorno che avrebbe potuto cambiare ogni cosa. Ma anche e soprattutto la vicenda di un uomo che meritava molto di più, ma che è stato capace di brillare una volta sola. Nella pista più significativa di tutte. Con la monoposto più iconica di sempre.
Questa è la storia del Gran Premio del Canada 1995 e del trionfo di Jean Alesì sulla pista dedicata al suo idolo guidando la Ferrari numero ventisette. Brividi.

E' l'undici giugno 1995 e a Montreal sta per andare in scena il gran premio. La griglia di partenza sottolinea il contesto generale di quella stagione. Benetton e Williams, entrambe motorizzate Renault, si giocano corsa e campionato in quella che è una sfida caratteristica di quegli anni: Michael Schumacher contro Damon Hill.
Ma quel giorno Jean è dotato di una forma straordinaria. Con la consueta commovente generosità il pilota francese è protagonista di una rimonta sensazionale che lo condurrà fino al secondo posto.
Poi il colpo di fortuna, forse l'unico nella carriera di Alesì. La Benetton di Schumacher, fin li semplicemente imprendibile, è costretta ai box da un problema elettrico. Jean vola in testa e conquista quella che potrebbe essere la prima vittoria di una lunga serie.
I tifosi della rossa sono in delirio. La Ferrari arrivava all'appuntamento canadese dopo anni di digiuno, spezzati l'anno prima da Berger in un rocambolesco gp di Germania.
Il pubblico stravede per Jean perché è un pilota estremo, capace di guidare sempre oltre ogni limite e di ricavare dalla vettura più di quanto questa sia disposta a dare. La sensazione di tutti è che, nel momento in cui il francese avesse finalmente ottenuto la prima vittoria, nulla gli avrebbe impedito di diventare un vincente seriale.
Quel giorno è arrivato e tutti quanti si sfregano le mani attendendo dal coriaceo pilota, che punta a vincere sempre, anche contro ogni evidenza, una striscia di successi indimenticabile.
Ma non andrà così. La sfortuna, che per un giorno si è dimenticata di Jean, si rifarà con gli interessi, a partire dal gran premio d'Italia dello stesso anno, quando una doppietta rossa ormai certa, con Jean a guidare il gruppo, si trasformerà in una batosta tanto assurda quanto dolorosa.

Le due rosse sono saldamente in testa, quando dalla Ferrari di Alesì si stacca una telecamera che va a fracassare la sospensione di Berger. Pochi giri dopo è lo stesso Jean ad alzare bandiera bianca a causa di un cuscinetto fiammeggiante. Insomma un disastro.
Che rimarrà senza possibilità di replica, tra l'altro. Montezemolo e Todt, infatti, annunciano l'avvento di Schumacher in rosso per l'anno successivo in coppia con Eddie Irvine.
Per Jean si chiude un'avventura fantastica che poteva e doveva premiarlo di più. Il resto della sua carriera lo passerà su vetture scarsamente competitive, a spendere il suo talento lontano dalle posizioni di prestigio.
Ma quell'undici giugno rimane. Inalterato e immutabile come la luce di certe stelle. E come la passione che il francese ha regalato a una scuderia che per lui valeva ben più di un lavoro.
E' facile innamorarsi dei piloti vincenti. Quelli portano a casa la gloria e le soddisfazioni al popolo che li sostiene. La cosa più complicata è conquistare le folle senza monopolizzare le statistiche.
Pochi ci sono riusciti e se lo hanno fatto è perché si vedeva il loro il cuore vero. Indossare il rosso in Formula 1 vuol dire diventare parte di un universo più grande. Vuol dire sfrecciare con l'auto più ambita da tutti, anche se arriva quindicesima.
Farlo come lo ha fatto Jean significa guadagnarsi l'immortalità nel cuore degli appassionati. Sappiatelo quando lo vedete in TV commentare le corse con il suo accento francese e ricordate che ha dato alla Ferrari molto di più di quello che la rossa ha dato a lui. Quest'uomo avrà sempre l'affetto incondizionato di chiunque respiri la Formula 1.
Del resto ce n'era un altro con l'accento francese che ha vinto poco ma è rimasto indelebile nelle suggestioni di tutti, lo ricordate?
Gli hanno dedicato persino una pista. A Montreal, in Canada.

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