101 volte Indy- Con Alonso

Fernando Alonso è probabilmente il pilota più forte tra quelli attualmente in attività. Dichiarazione roboante la mia che da sola potrebbe concludere questo post. A ben vedere nemmeno supportata dalle statistiche, visto che l'asturiano vanta due soli titoli mondiali (contro i tre di Hamilton e i 4 di Vettel), l'ultimo dei quali aggiudicato ai tempi in cui spagnolo sfidava in pista il cavallo bianco di Napoleone. Eppure io confermo le mie parole.
La realtà è che nessuno come lui è capace di far rendere al massimo una vettura da corsa; sia essa ultra competitiva che associabile a un catorcio inguidabile (qualsiasi riferimento alla McLaren Honda è puramente casuale).

Chiaramente Alonso è consapevole del proprio valore aggiunto e nel tempo ha imparato a sfruttare le sue doti per creare una certa pressione politica nei vari team per i quali ha corso.
Ciò lo ha reso un personaggio spesso ingombrante, difficile da gestire e piuttosto scontroso. Un uomo squadra che è convinto (a ragione) di essere lui stesso squadra.
Questo carattere fumantino lo ha obbligato a cambiare spesso, scegliendo strade per il successo tortuose e spesso sbagliate (sono piuttosto convinto che lo spagnolo non sia tra i lettori di questo blog. Tuttavia, se lo doveste incontrare, non fategli sapere che ho detto questo: sull'argomento Nando è piuttosto suscettibile).
Così, alla terza stagione nell'ormai agonizzante progetto McLaren Honda, Alonso ha perso le staffe. Andare a rischiare la pellaccia ogni domenica per ottenere un tredicesimo posto non fa per lui. Il ragazzo ha piantato il muso e ha deciso di saltare l'appuntamento più glamour della stagione, quel gran premio di Montecarlo che forse rappresentava l'unica vera occasione per portare a casa qualche punto iridato.

Il motivo principale che ha spinto Alonso a rinunciare a questa poco ghiotta possibilità è tanto affascinante quanto folle. Correre la 500 miglia di Indianapolis.
Un evento clamoroso a dire il vero, che ricalca le orme di piloti ormai sprofondati nel passato, come Clark o Hill, quando guidare una vettura da corsa significava saltare su ogni automobile avesse quattro ruote, un motore e un assetto aggressivo.
Ora sul perché questa competizione sia tanto affascinante ho già detto la mia qui. Sul livello di testosterone che serve per gareggiare nel catino senza nessun tipo di esperienza con le gare su ovale, invece, basterebbe sentire cosa ne pensino i colleghi dello spagnolo iscritti al mondiale di Formula 1.
La scelta di Fernando ha mosso l'opinione pubblica (beh, diciamo gli appassionati dai) alla caccia di una storia d'altri tempi, tanto che persino la Gazzetta ha concesso un po' più di spazio all'evento, in luogo del solito quadratino disperso nel giornale. Per quanto riguarda gli americani, poi, si può dire che siano impazziti di gioia. Poter schierare al via della loro competizione più prestigiosa un tale personaggio sicuramente ha offerto alla serie yankee una popolarità latente da decenni.
Ma per gareggiare serve una macchina e anche a tal proposito la sfida di Alonso è stata capace di dare alla luce comportamenti appartenenti alla leggenda delle corse. Come una squadra d'altri tempi, la McLaren ha deciso di supportare l'avventura del suo pilota fornendo uomini e livrea alla Dallara schierata dal team Andretti per l'occasione; nel contempo, la Honda non si è privata dell'opportunità di rinfrancarsi agli occhi del campione, installando una propria unità (che laggiù funziona decisamente meglio rispetto alla cara vecchia Europa) sulla vettura.
Insomma, un dispiegamento di uomini e mezzi mastodontico messo insieme a causa delle bizzarrie di un uomo che, diciamocelo fino in fondo, avrebbe anche potuto fare una figuraccia.
Il quinto tempo in qualifica poteva esaltare i poco attenti. Ma un tempone ottenuto a pista sgombra sta nelle corde di un grande asso del volante, persino se è alla prima esperienza. Le vere difficoltà nel catino si affrontano in gara. E non solo perché possono succedere cose come queste:

A Indy è meglio dimenticarsi le grandi di staccate, il ritmo da qualifica e il gruppo bello sgranato tipici delle gare su stradale. La si corre tutti vicini come i ciclisti del giro d'Italia, ma a quattrocento chilometri orari. Distanze, traiettorie e scie sono i parametri di cui bisogna tenere conto. Sbagliare una delle quattro curve di due centimetri vuol dire spiaccicarsi sul muro. Alzare il piede quando davanti succede qualcosa, significa farsi risucchiare dal gruppo. Distrarsi per un solo istante durante le oltre tre ore di corsa potrebbe portare verso qualcosa di irrimediabile.
Infatti Alonso ha iniziato la gara con prudenza, perdendo parecchie posizioni nel tentativo di assimilare questo nuovo universo. Poi, però, ha preso confidenza e iniziato a recuperare. A un quarto di competizione pareva già un veterano, capace di giocare con le scie e di affrontare sorpassi decisi e intimidatori. Fino ad arrivare in prima posizione.
Giubilo e gaudio, naturalmente, ma chi conosce Indy sa benissimo che la cosa più importante di tutte è arrivare alle ultime cinquanta tornate nello stesso giro del primo, sperare in una strategia fortunata e attaccare sfruttando ogni opportunità.
Ad Alonso, in questo senso non è andata benissimo. A una ventina di giri dalla conclusione si trovava in ottava posizione, ma appariva in gran rimonta e destinato a giocarsela. Poi il suo motore Honda lo ha tradito. Anche qui.
Situazione paradossale a tal punto che in Giappone qualcuno probabilmente è svenuto dalla paura. Fernando nero di rabbia non è il massimo da incontrare lungo la propria strada.
Il punto però è un altro. E lo sa lo spagnolo stesso, incapace a fine corsa di parlar male dei nipponici nonostante tutto. Nando ha dimostrato una volta di più quanto ci tenesse a confermare le mie parole.
Pur di darmi ragione ha accettato una competizione aliena al proprio stile e senza nessuna preparazione, rischiando seriamente di vincerla e dimostrando a tutti di essere il pilota più forte attualmente in attività. Ma soprattutto, grazie a Fernando ora tutti sapete che avevo ragione io che , in fin dei conti, è l'unica cosa importante di tutta questa storia di fate e principessi del volante.
Che poi a Indianpolis non siano sempre i migliori a vincere è una cosa risaputa. Quest'anno, per dire, ha vinto Takuma Sato.

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