I cimeli del cinema #16- L'Inganno (The Beguiled)

Quando un predatore si mette a cacciare delle prede organizzate in gruppo, gli conviene sempre preparare bene il terreno prima di sferrare il proprio attacco.
Un gruppo di individui è pieno di fragilità: dalle rivalità interne emergenti a causa della conquista di un premio, alla battaglia eterna per la leadership che contrappone gli elementi più forti.
Ma, se la strategia del predatore non ha funzionato, quando il gruppo si sente in pericolo tende a mettera da parte ogni divergenza, a compattarsi e a difendersi. Quand'anche gli individui, presi singolarmente, possano essere più deboli, il gruppo li rafforza e ne unisce le competenze.
Perché il gruppo è un essere vivente a se stante, che protegge i propri componenti e tende a perpetrare se stesso. A scapito del povero predatore, naturalmente, che è destinato a perdere rovinosamente la caccia. Ma anche ai danni dei propri componenti, costretti a rinunciare eternamente a ogni forma d'indipendenza. Non è vero miss Edwina?

Gli anni sessanta dell'ottocento, negli Stati Uniti, sono stati un periodo piuttosto scorbutico. La giovane nazione, probabilmente ancora alla ricerca di se stessa, veniva lacerata dalla famosa guerra di secessione. Nordisti e sudisti si scannavano per l'ideale antischiavista e forse per stabilire che strada avrebbero preso come unione di stati.
Il caporale McBurney è uno yankee ferito, che viene accolto da una comunità di giovani donne del sud. Forse la dimostrazione di come la sofferenza cancelli le differenze, oppure l'esplicitazione del concetto che per gli individui sia più importante la fratellanza della guerra. In realtà si tratta della storia di un uomo molto stupido messo in mezzo a un gruppo di donne ingenue ma tremendamente determinate.
Sofia Coppola ci racconta tutto questo come se ci accompagnasse a una mostra di quadri d'epoca. Che, a ben vedere, è il motivo vero che mi ha tenuto in dubbio sull'opportunità di andare a vedere questo film in sala. Il formalismo estremo che percepivo nell'avvicinarmi all'opera, infatti, mi faceva temere l'approccio troppo rigido della regista alla storia.
E invece no. Appena sotto la patina di perfezione stilistica, Coppola inserisce uno strato di ironia sottile e pungente come un ago. La descrizione dei personaggi e dei contesti è spiritosa, la trama non rinuncia mai a puntare sulle insicurezze dei personaggi e, se necessario, mette in ridicolo quella rigidità ottocentesca che l'educazione impone alle ragazze.
Un approccio molto fine, che diverte a tal punto da far scivolare via la visione, nonostante i ritmi non proprio da discoteca che la compongono.
Certo, da un punto di vista meramente narrativo, lo svolgersi delle situazioni è piuttosto prevedibile. Ma ci sta; non siamo di fronte a un thriller e i colpi di scena non sono il sale di questo lavoro. Piuttosto colpisce la messa in scena, sempre molto curata ma non priva di una certa frivolezza ben amalgamata con il contesto. E' un film che vive di inquadrature, come quella finale, ad esempio, perfetta sintesi di tutto il discorso sul gruppo con cui vi ho torturato in apertura.

Un film eccellente quindi? Beh, andiamoci lievi con gli aggettivi. Questa pellicola si presta volentieri a una prima visione, ma difficilmente invoglia al ripasso.
Ciò avviene perché, al di la dei sorrisi che porta con se, un certo formalismo comunque c'è. Una volta finito lo spettacolo si rimane con la bocca asciutta. Ci si aspetta un retrogusto che non arriva mai.
Piacevole da vedersi (anche perché di durata non eccessiva), se ne va senza lasciare traccia di se. Non necessariamente un difetto, perché la pagnotta la porta a casa comunque. Ma vedendo tutto il lavoro tecnico messo insieme dalla regista, mi viene il dubbio che forse Sofia Coppola non puntasse esattamente a questo.

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