I cimeli del cinema #10- La Prima Cosa Bella
La volete sapere una scomoda verità?
Di tutti i film di Virzì da me visionati (non molti, sono onesto),
questo è quello che considero il meno significativo.
Si lo so, è un commento impopolare, ma
non posso farci niente se sono uno bello e dannato.
Che il rapporto tra madri e figli sia
una delle relazioni più potenti della natura ci sono pochi dubbi, mi
pare. Che il regista livornese lo sappia benissimo è persino ovvio.
Che per raccontarcelo abbia fatto un mezzo casino, invece, è
opinione tutta mia.
Anna è una genitrice piuttosto
libertina, decisamente fuori da quegli anni settanta ancora piuttosto
bacchettoni nei quali ha vissuto la sua gioventù. Il figlio Bruno
patisce il suo atteggiamento, che non comprende, fino a trasformarsi
inValerio Mastandrea.
Per capire come si possa arrivare ad un
dramma simile Virzì sceglie di presentarci questa storia attraverso
l'utilizzo di due piani temporali ben distinti. Troppo ben distinti
per conto mio.
Attraverso i ricordi di Mastrandrea il
film ripercorre le fasi salienti della vita della sua disfunzionale
famiglia e i traumi che lo hanno portato a diventare ciò che è. La
scusa è quella dell'ultimo saluto all'ormai anziana madre, purtroppo
condannata da un male incurabile. Che storia leggiadra no?
Come spesso accade dalle nostre parti,
comunque, il tono che Virzì dona alla sua opera è effettivamente da
commedia. Anna è un personaggio a suo modo positivo, che combatte
per il suo diritto alla vita (sia intesa come tale, che come ricerca
della felicità), con il sorriso da svampita sempre ben stampato
sulla faccia.
Infatti le due attrici chiamate ad
interpretare Anna sono le regine dello svampimento (ma si dice
svampimento?). Stefania Sandrelli e Micaela Ramazzotti, formalmente,
sembrano perfette per essere l'una l'evoluzione dell'altra.
Nella pratica però qualcosa dev'essere
andato storto. I ricordi di Bruno non si fondono bene con la stretta
attualità e l'impressione che ho ricavato dalla visione è stata
quella di trovarmi di fronte a un film a episodi, tenuto insieme da
una cornice narrativa nemmeno troppo interessante.
Certe scelte stilistiche adottate dal
regista non mi sono proprio andate giù. Affidare ad un adolescente
la voce di Mastandrea alzata di un'ottava, più che un buon modo per
legare i tempi della vicenda si direbbe una mossa atta esclusivamente
a torturare i miei timpani. In più quel montaggio ansiogeno messo
insieme da Virzì durante la scena del matrimonio non sono riuscito a
digerirlo; i primi piani rapidissimi su personaggi quasi imbambolati
davanti alla cinepresa (si, sto pensando a Ruffini, ma se non faccio
nomi magari sembra che non infierisco) ancora me li sogno di notte.
E poi tutti questi caratteri simpatici
ed ultra caricati sono sinceramente troppa cosa per i miei gusti. Non
ce ne è uno che non ricordi una macchietta da avanspettacolo e tutti
quanti sono lanciati sullo schermo senza alcuna speranza di lasciare
il segno.
Ma Virzì sa benissimo come farsi
ricordare, così sfrutta a pieno il dramma insito in questa vicenda
per mettere in scena un finale lacrimoso. Il suo intento riesce,
soprattutto per il sapore vagamente salvifico che l'ultima sequenza
porta con se. Ma non va a nascondere la piattezza quasi soffocante di
una storia davvero poco appassionante.
Raccontata così come ha fatto lui, la
pellicola non indica chi sia il vero protagonista. Il Mastandrea alla
ricerca di se stesso, attraverso la ricostruzione mnemonica di un
rapporto materno che lo ha sfibrato, parrebbe un buon candidato.
Eppure la Anna messa in scena da Ramazzotti si ruba interamente la
scena, troneggiando come una regina e distaccandosi completamente
dalla Anna di Sandrelli, piuttosto trasparente nonostante il grave
momento vissuto dal personaggio.
Se ci si prende il tempo per assorbire
l'effetto di un finale forzatamente commovente e si analizza il film
per ciò che è, si rischia vivamente di restare senza nulla da
ricordare, alla faccia del regista livornese e delle sue capacità di
stuzzicare la sfera emotiva.
Cosa che, a ben vedere, si può dire
benissimo anche di questa specie di recensione. Una delle peggiori
cose che io abbia mai scritto. Su con la vita Iuri, riuscirai a fare
di meglio.
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