I cimeli (veri) del cinema #6- Ran
Se qualcuno dovesse chiedermi se
considero il cinema un'arte, confesso che non saprei come rispondere.
Non mi ritengo sufficientemente colto o intelligente da riuscire a
dare una definizione soddisfacente di questo concetto. Certo, ci
sarebbe il dizionario, ma sono convinto che una parola pesante come
“arte” abbia bisogno di essere filtrata da una mente fertile per
poter beneficiare del vero valore che la contraddistingue.
Tuttavia, affrontando un film come
quello di cui voglio parlare oggi, difficilmente riesco a restare
lontano da questo termine così totalizzante.
Un'opera maestosa, che tranquillamente
inserisco tra le migliori mai realizzate nel mondo della celluloide.
Una pellicola così sconquassante da rimanere impressa nella mente di
chi la vede, come le macchie di luce che appaiono quando si chiudono
gli occhi.
Insomma, oggi vi voglio parlare di:
Ambientata nel Giappone feudale, la
storia di Ran narra l'estinzione della famiglia Ichimonji, potente
dinastia divorata dalla brama di potere e dai tradimenti che ne
consumano l'anima.
Leggo che la trama si basa sul Re Lear,
ma, come detto qualche riga più in su, sono un'ignorante tale da non
conoscere l'opera di Shakespeare. Tuttavia non faccio fatica a
comprende la grandiosità di questa vicenda.
Una ricostruzione storica e una
scenografia naturale da togliere il fiato, fanno da sfondo a un
racconto nel quale la brama di successo e la sete di vendetta
governano l'azione di uomini doppiogiochisti, spesso vigliacchi e
incapaci di provare rispetto per padri e fratelli.
E' una discesa verso il baratro per gli
Ichimonji, potenti come sovrani quando il capostipite imponeva il
pugno di ferro e destinati a una fine pietosa quando questi decide di
lasciare il potere nelle mani dei figli.
Kurosawa dimostra di voler smitizzare
alcuni aspetti dell'onore che ammantano il Giappone medievale. Non ha
nessuna pietà per i suoi personaggi: principi e principesse, soldati
e cortigiane, infami o nobili d'animo, tutti i personaggi di corte
sono destinati a una fine tremenda.
E in quello che appare come un cammino
di redenzione (ma senza assoluzione) il regista ci esorta
continuamente a non provare compassione per il vecchio Hidetora,
ormai deposto e folle, in quanto artefice dei propri mali.
Fratelli che si sparano alle spalle,
tradimenti codardi e principesse accecate dal desiderio di vendetta,
riempiono questa vicenda di un'intensità rara e difficilmente
dimenticabile.
Non c'è che dire: Willy le sapeva
scrivere le storie.
Così come Kurosawa sapeva girare i
film. Nonostante i ritmi del regista giapponese non siano esattamente
frizzanti, in tutte le due ore e mezza di visione si percepisce
distintamente la sensazione che qui non si sia buttato via un solo
millimetro di pellicola.
Ogni scena è un quadro, ogni dialogo
produce un effetto e ogni scelta, anche quella che appare più
insignificante, ha uno scopo preciso.
Quando i tempi si dilatano, si rimane
ammaliati ad ammirare la straordinaria eleganza dei movimenti
rallentati che questi giapponesi ostentano grazie alla recitazione
teatrale degli attori. E si percepisce la falsità di questa ricerca
ostinata dell'estetica, rapportata ai comportamenti da carogne che i
protagonisti si gettano in faccia.
E poi c'è l'aspetto visivo: Kurosawa
rinuncia quasi interamente al supporto della colonna sonora e riesce
a meravigliare lo spettatore attraverso immagini che non si possono
dimenticare. Vedere Hidetora abbandonare il castello in preda alla
follia mentre al pagoda dietro di lui brucia furiosa è un momento
che rimane incastonato nella storia del grande schermo. Così come
ammirare la disposizione delle armate in una battaglia finale
popolata da centinaia di comparse, offre un specchio credibilissimo
della guerra ai tempi del feudo.
Un capolavoro assoluto questo Ran,
capace di attrarre a se tutta l'attenzione senza sfruttare nessuna
furbizia, ma, anzi, puntando solamente sulla grammatica
cinematografica. Un'opera secondo me immensa.
Quindi, se il mio interlocutore dovesse
davvero chiedermi se il cinema è un'arte, probabilmente gli darei in
mano una copia di Ran invitandolo a guardarlo e a lasciarsi
travolgere dalla magnificenza di questo lavoro. Poi gli direi di non
fare domande stupide che non ho tutto il giorno a disposizione per
fare conversazione. Sono un uomo impegnato io.
Arrivederci.
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