Goodbye Mr.E.

Siamo ormai alle porte di una nuova stagione di Formula 1. I motori torneranno a far vibrare la passione sepolta dentro di noi. Il fuoco della battaglia in pista accenderà entusiasmi sopiti dall'inverno. Prima del via saremo di nuovo costretti a stringere con forza qualcosa per evitare di soccombere alla tensione. Il mondo patinato delle pit lane ritornerà a popolare i nostri desideri e non saremo più capaci di pensare a nulla di più bello.
No eh? Bon, ma se cominciamo così non è che andiamo molto lontano.
In fin dei conti quello che sta per iniziare a Melbourne è un campionato che promette tante novità. Ma, data la vostra scarsa creanza, eviterò le dissertazioni sul nuovo regolamento, concentrandomi piuttosto su ciò che in questa nuova Formula 1 non ci sarà. Il motivo di questa scelta lo si intuisce dal titolo del post, ma se avrete la pazienza di seguirmi (cit.), sarà ancora più chiaro a lettura terminata.
Potrei parlarvi di quanto ci mancheranno piloti come Button o Rosberg, manager storici come Dennis o team disgraziati come Manor.
Ma tutto ciò è aria fritta e lo sappiamo tutti. Piloti, squadre e manager in Formula 1 sono sempre passati. Qualcuno ha lasciato il segno magari, ma l'eternità sta qualche piano più in alto.
A meno di non essere la Ferrari. O una quercia secolare. O Bernie Ecclestone.
E siccome le ultime due definizioni sono sinonime, la nuova proprietà a stelle e strisce si è armata di sega a motore e ha abbattuto Mr.E.

Alla buon'ora potreste pensare voi, ha pur sempre 86 anni questo brav'uomo. Le cose potranno solo migliorare. Ecco, se questa è la vostra idea, forse siete degli ingenui.
Bernie non piace a tutti. Anzi, a veder bene in profondità, si può dire che non piaccia proprio a nessuno, almeno tra gli appassionati. La più grande colpa che gli viene attribuita è quella di aver ceduto la tradizione delle corse in cambio del vile denaro di cui è ghiotto (come Rezzonico con il ghiacciolo al tamarindo, tanto per capirci).
Comodo punto di vista, che attribuisce a un unico uomo (a cui i soldi piacciono, sia chiaro) ogni distorsione di cui si sia macchiato il delirante circo delle monoposto. Dimenticandosi di come certe squadre blasonate e adorate spingano per correre in posti esotici, dove è molto più facile piazzare i propri gioiellini fabbricati a mano, ormai invendibili nella misera Europa.
Tenetevi forte, perché adesso la sparo grossa: Ecclestone media, trattenendosi laute ricompense, con gli organizzatori per conto di questi team, e lo fa con immensa passione. No dai, non fischiate.
La realtà dei fatti è che Mr.E. ha contribuito in maniera determinante a creare la Formula 1 moderna. Questa creatura capricciosa e deforme è sua e lui, giustamente, la ama.
Ci sta dentro dall'inizio, prima come pilota mediocre e poi come procuratore. Ha gestito la carriera di Jochen Rindt, mica niente, portandolo al titolo in quel drammatico 1970 quando l'austriaco morì a Monza diventando l'unico campione postumo nella storia della categoria.

E poi rilevò una fabbrichetta di telai in disarmo trasformandola nel team Brabham capace di vincere due mondiali negli anni 80.
Ma per quanto importanti possano essere stati, i successi sportivi non rappresentano di certo il valore aggiunto che Ecclestone ha apportato alla categoria. Da gestore di una squadra inglese Bernie intuì subito il potenziale della Formula 1. E battagliò parecchio per estrapolarlo.
Non era da tutti rapportarsi a Enzo Ferrari con la caparbietà che ci mise Bernie. Fu una guerra aperta, combattuta attraverso gran premi mutilati dagli scioperi. Ma si approdò al primo patto della concordia, istituzione che mise alla porta gli amatori, fossero essi stati garagisti della domenica oppure organizzatori furbi di corse extra campionato.
Per Ecclestone la massima serie automobilistica doveva arrivare alle masse, non rimanere ad esclusivo appannaggio degli appassionati. Capì cosa serviva per svoltare e si diede da fare per mettere in pratica le idee sue e quelle altrui.
A iniziare dalla sicurezza: Bernie era consapevole che le romantiche carneficine in voga fino agli anni settanta non sarebbero state capaci di attirare il pubblico generalista. Per cui si spese anche su quel fronte, appoggiando ogni battaglia portata avanti dai piloti. Un vero dritto, se si pensa alla comodità televisiva di accorciare i circuiti e allargare le vie di fuga.
Poi, una volta mollate le redini della Brabham, decise di trasformare i paddock in una sorta di palazzo Chigi itinerante. Un luogo luccicante e autoreferenziale, lontano dalla gente in puro spirito elitario.
Chiaramente creando questo club esclusivo si attirato addosso gli strali dei vecchi amanti, abituati a campeggi al sapor di benzina, ove tifosi, tecnici e piloti condividevano le medesime zolle.
Ha allontanato la gente dal cuore pulsante della passione, ma, contemporaneamente, è riuscito a dare credibilità a una categoria ruspante, ammantandola di quell'alone mitologico che solo la distanza può creare.

Inoltre Bernie ha arricchito di qualità il parco partenti dei gran premi, rinunciando volutamente alla quantità. Gli assemblatori e gli avventurieri sono spariti progressivamente dalle liste di iscrizione, lasciando che il loro posto venisse preso dalle grandi case costruttrici di automobili, che secondo Ecclestone, avrebbero portato l'ultima stilla di prestigio al suo mondo fatato.
Qui sta forse l'unica vera pecca della quarantennale gestione di E. L'aver creduto così tanto nei costruttori gli ha tagliato una fetta importante di possibili partecipanti, scoraggiati dalle spese esorbitanti che una monoposto attuale richiede per essere progettata.
Bernie non ha voluto ascoltare le parole profetiche di Ken Tyrrel, che già negli anni settanta vedeva le grandi case come premessa della morte della categoria.
Esse si sono messe a fare il bello e il cattivo tempo nel mondo dorato di Bernie. Salvo poi andarsene non appena le condizioni lo consentivano.
Oggi, sotto un mantello di lustrini, la categoria attraversa una delle più gravi crisi della sua storia. Pochi partecipanti, poche case, costi altissimi e disaffezione del pubblico.
Liberty Media ha scelto di accantonare Ecclestone, forse ritenendolo responsabile dello sfacelo a cui si è arrivati. Magari persino dimenticando quanto Mr. E abbia combattuto per non avere la ridicola svolta verde che ha castrato, forse definitivamente, il fascino atavico delle corse attraverso un manganello di motori ibridi e regole complesse.
Ma l'ultima battaglia Bernie l'ha persa, sancendo probabilmente la fine di una gloriosa carriera.
Lascia una creatura ferita e sanguinante nelle mani di un gruppo che come prima cosa ha parlato di concerti, città attive per una settimana ed eventi in stile superbowl. Ma che non ha mai accennato alle gare, allontanandosi ancora di un passo dal cuore del problema.
Siamo sicuri che la fine dell'era di Mr.E sia davvero un bene? Ma cosa chiedo a fare, tanto non rispondete.
Bon dai, ciao.

Commenti