CDC #139- Stalker all'italiana: Montedoro (2015)
Certi
viaggi occorre intraprenderli perché rappresentano l'unico modo per
togliere il velo su noi stessi e scoperchiare il vaso che racchiude
la nostra essenza. Per alcuni di noi l'oscuro si nasconde dietro
fotografie o suoni
di epoche dimenticate. Per altri si tratta di scovare i desideri
reconditi dentro una stanza
situata al centro di una Zona. In questo caso, invece, il punto da
dove tutto parte è un paesello in cima a una collina. Un paesello
fantasma, per la precisione.
Sia come sia, questi percorsi possono rivelarsi davvero duri. Specialmente per gli spettatori.
Sia come sia, questi percorsi possono rivelarsi davvero duri. Specialmente per gli spettatori.
Se
guardando questo film vi sembrerà che Cristo si sia fermato a Eboli
non preoccupatevi. La scenografia è ricavata a Craco, città
fantasma abbandonata una settantina di anni fa e rimasta in apparente
attesa delle produzioni cinematografiche desiderose di adoperarla
come sfondo.
Sul serio: da Mel Gibson a Rocco Papaleo, per Craco ci sono passati tutti. Anche se forse nessuno con l'intento di levare la patina di fascino che questi luoghi desolati esercitano e scavare un filo più in profondità. Magari per andare a pescare un momento nel quale posti come Craco vivevano.
Quale migliore occasione di una vicenda come quella di Pia Marie Mann (qui in vece di attrice protagonista), autoctona trasferita in America appena cinquenne, venduta dalla madre a una famiglia d'oltre oceano? Ci pare di capire che la donna abbia avuto una vita felice laggiù, almeno a giudicare dai consumati nastri del tempo. Eppure il richiamo di qualche sbiadito ricordo infantile la proietta a Montedoro, inconsapevole dell'estinzione che ha colpito il paese.
Una storia che si poteva raccontare in mille modi, se vogliamo. Ma messa giù così è una botta. Parola.
Sul serio: da Mel Gibson a Rocco Papaleo, per Craco ci sono passati tutti. Anche se forse nessuno con l'intento di levare la patina di fascino che questi luoghi desolati esercitano e scavare un filo più in profondità. Magari per andare a pescare un momento nel quale posti come Craco vivevano.
Quale migliore occasione di una vicenda come quella di Pia Marie Mann (qui in vece di attrice protagonista), autoctona trasferita in America appena cinquenne, venduta dalla madre a una famiglia d'oltre oceano? Ci pare di capire che la donna abbia avuto una vita felice laggiù, almeno a giudicare dai consumati nastri del tempo. Eppure il richiamo di qualche sbiadito ricordo infantile la proietta a Montedoro, inconsapevole dell'estinzione che ha colpito il paese.
Una storia che si poteva raccontare in mille modi, se vogliamo. Ma messa giù così è una botta. Parola.
Certo,
il primo approccio con la pellicola è piuttosto ostile, non ve lo
nascondo. Una prima parte in cui alcuni passaggi, tipo i monologhi
del tassista, sembrano inseriti a forza nella sceneggiatura. Una
lentezza della narrazione che pare ostentata, l'idea di far succedere
cose senza che prima ci venga anticipato il concetto alla base della
storia. Tutte scelte forti, a volte non proprio azzeccate, ma
comunque figlie di un regista che sa esattamente qual è il punto del
discorso e che non vuole perderselo
Del resto siamo di fronte a un'opera indipendente, che può permettersi di evitare compromessi al ribasso. Vi chiede pazienza e voglia di lasciarvi tirare dentro. Se ci state vi restituisce qualcosa che porterete con voi.
Perché Montedoro è un lavoro che sa andare al cuore della storia, raccontando la ricerca dell'identità della protagonista, ma anche la fine di un'era. Fondendo passato e presente in maniera quasi naturale attraverso l'utilizzo di immagini d'epoca pescate chissà dove e la messa in scena di una processione che avviene mentre la donna è tra i ruderi. Un evento che potrebbe esistere oppure no, perché da un certo punto in poi è la magia a prendere possesso del racconto.
Del resto siamo di fronte a un'opera indipendente, che può permettersi di evitare compromessi al ribasso. Vi chiede pazienza e voglia di lasciarvi tirare dentro. Se ci state vi restituisce qualcosa che porterete con voi.
Perché Montedoro è un lavoro che sa andare al cuore della storia, raccontando la ricerca dell'identità della protagonista, ma anche la fine di un'era. Fondendo passato e presente in maniera quasi naturale attraverso l'utilizzo di immagini d'epoca pescate chissà dove e la messa in scena di una processione che avviene mentre la donna è tra i ruderi. Un evento che potrebbe esistere oppure no, perché da un certo punto in poi è la magia a prendere possesso del racconto.
Vero,
Faretta non rinuncia a una certa teatralità nemmeno nel momento più
emotivo del suo lavoro. La recitazione impostata e le inquadrature
statiche, studiate secondo un codice che io non sono in grado di
decifrare, sottolineano una certa impostazione che definirei
artistica e che normalmente non amo molto vedere al cinema.
Resta il fatto, però, che la vicenda si stampa nella mente, inutile dire il contrario. Al di la di certe forzature e di alcuni momenti che lasciano interdetti, il film funziona proprio bene.
Parla della donna in cerca delle radici, ma soprattutto parla di un tempo sospeso. Di un istante che sembra voler vivere per sempre, almeno finché rimane intrappolato in una mente che non sa andare avanti.
Faretta ha un modo di gestire la dimensione temporale che qualche regista inglese con la fissa di queste cose dovrebbe studiare invece di lanciarsi in complicati schemi narrativi.
Insomma, questo Montedoro è davvero un ottimo film, se lo sapete prendere nel modo giusto. Un'opera coraggiosa che meritava miglior visibilità. Potrei stare qui a tirare su la polemica con la distribuzione italiana e tutti i discorsi sui film validi che non vanno nelle sale. Ma in realtà posso capire perché un lavoro del genere fatichi. Non è una visione facile.
Ma è una visone che merita.
Resta il fatto, però, che la vicenda si stampa nella mente, inutile dire il contrario. Al di la di certe forzature e di alcuni momenti che lasciano interdetti, il film funziona proprio bene.
Parla della donna in cerca delle radici, ma soprattutto parla di un tempo sospeso. Di un istante che sembra voler vivere per sempre, almeno finché rimane intrappolato in una mente che non sa andare avanti.
Faretta ha un modo di gestire la dimensione temporale che qualche regista inglese con la fissa di queste cose dovrebbe studiare invece di lanciarsi in complicati schemi narrativi.
Insomma, questo Montedoro è davvero un ottimo film, se lo sapete prendere nel modo giusto. Un'opera coraggiosa che meritava miglior visibilità. Potrei stare qui a tirare su la polemica con la distribuzione italiana e tutti i discorsi sui film validi che non vanno nelle sale. Ma in realtà posso capire perché un lavoro del genere fatichi. Non è una visione facile.
Ma è una visone che merita.
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