Iuri legge per voi: 10 Piccoli Indiani

Lo conoscete lo slasher si? Quel filone dell'horror nel quale vari adolescenti frequentano un campeggio estivo immerso nel bosco convinti di intorpidirsi di sesso, ma poi finiscono massacrati uno alla volta da un maniaco solitamente mascherato. Esatto, quello dove il nero muore sempre per primo.
Gli esperti datano l'esordio di questo genere con l'uscita di Halloween, capolavoro di John Carpenter del 1978. Altri preferiscono ritardare di un paio d'anni e assegnare la palma del primo a Venerdì 13, film che propone stilemi che col tempo sono diventati canone. I più sottili, invece, vogliono affidare l'esordio dello slasher a Reazione A Catena di Mario Bava, AD 1974. Il periodo è più o meno quello, comunque.
Se volete sapere la mia, lo slasher si è affacciato nel mondo molti decenni prima di queste opere e compare in una storia che non c'entra nulla col l'horror. Anzi, a dirla tutta, non si trova nemmeno in un film.

Le parole sono importanti, diceva un tizio piuttosto famoso. In effetti c'è subito da dire che il titolo che noi conosciamo non è quello pensato da Agatha Christie e presentato al Regno Unito. La signora ha chiamato il suo lavoro Ten Little Niggers, ma siccome negli States l'appellativo nigger era considerato un'offesa già negli anni 30, gli americani hanno preferito il titolo di Ten Little Indians al quale dobbiamo la nostra traduzione. Che a questi indigeni non gli si può risparmiare nemmeno una mortificazione.
Ma il punto non è questo. Quello che conta è che i riferimenti dentro la storia sono rimasti quelli originali, con Nigger Island come ambientazione, la filastrocca dei dieci piccoli negretti a scandire gli omicidi e le statuette africane. Meglio fare chiarezza per non trovarsi spaesati.
La storia di Dieci Piccoli Indiani la conoscono anche i platani selvatici. Dieci persone diverse per età, sesso ed estrazione sociale vengono attirate a Nigger Island con l'inganno da tale U.N Owen (le parole sono importanti, ricordate?). Nemmeno il tempo di familiarizzare che iniziano a cadere uno alla volta vittime di un misterioso assassino.
Per molti il capolavoro di Agatha, insieme a Assassinio Sull'Orient Express. Uno degli esempi meglio riusciti di giallo in stanza chiusa, stavolta senza nemmeno l'investigatore a dipanare la matassa. O meglio, uno ci sarebbe anche, ma è utile come un due di bastoni quando a briscola c'è spade.
Io però ho le mie riserve riguardo a tutto questo entusiasmo. La signora butta giù una storia basata sull'intreccio più che sui personaggi. Questi ultimi sembrano fotografie ritagliate dall'album degli stereotipi e incollate dentro il libro più per necessità di creare una fauna variegata che per vera convinzione. Non si conoscono tra loro (quasi nessuno almeno) e non provano reciprocamente qualche forma di empatia trasferibile agli occhi del lettore. Per di più Agatha ce li leva dalla storia senza alcuna cerimonia e nessuno di loro è capace di lasciare un vuoto dietro di se.
Per dimostrare lo scarso appeal che questa storia esercita su di me, sappiate che nei venticinque anni trascorsi dalla prima volta che l'ho letto sono rimasto convinto che l'assassino fosse un altro. Benone.
Il punto è che i fondamentali dello slasher qui ci sono tutti, inutile fingere che non sia così. Dieci personaggi pronti a fare da carne da macello, un luogo circoscritto da cui non si scappa, un killer che utilizza oscurità e mistero come maschera. E se qualcuno vi dice che manca la crudezza del genere, fategli notare che se non gli basta un cranio fracassato da un blocco di marmo e una faccia divisa in due da un'ascia, probabilmente non è lo slasher che cerca. E' lo snuff.
Questo rende la vicenda narrata in questo libro attraente. Tanto a spingermi a una considerazione. Se un giovane adolescente cercasse di avvicinarsi alla lettura io gli consiglierei di iniziare dai gialli di Agatha Christie. Certo, sono consapevole che, mentre la signora sfoggiava il suo rigido stile british, dall'altra parte dell'oceano Raymond Chandler ci faceva respirare le sue atmosfere piene di whisky e tabacco e ci attaccava i vestiti addosso con l'umidità di Bay City. Ma queste suggestioni arrivano dopo.
Con Agatha è tutto più semplice. Intanto perché sotto quell'aspetto quasi austero della sua impostazione si nasconde sempre un ditino che mischia nel torbido. Poi perché l'autrice è capace di costruire una tensione che trascina dentro le pagine un po' alla volta, fino a creare l'illusione che fuori dal libro non esista più nulla. Infine per la sfida che lancia al lettore, fornendogli tutti gli indizi e stimolandolo a scoprire il colpevole prima dell'investigatore. Cosa che non accade mai perché la signora bara spudoratamente. Ma l'aspetto ludico della situazione rimane.
Non ha senso educare un giovane alla lettura di qualche mattone indigeribile. Se lo scopo dev'essere quello di instradarlo verso l'abitudine alla letteratura, tanto vale fornirgli qualcosa che lo diverta. Poi i gusti si raffineranno con il tempo.
Ecco, la mia cagata l'ho detta. Ora mi posso accomiatare.
Ossequi.

Commenti

  1. Consigliare Agatha come avvio alla lettura per un giovane è sempre un'idea vincente. In traduzione avvincono gli intrecci che ti ingarbugliano il cerebro, ti fan sospettare di tutti, poi ti convinci di essere sul punto di battere sul tempo la Signora verso il finale. Ma Agatha ti frega sempre, invece.
    In lingua inglese è un buon consiglio per studenti della lingua di ogni età :stile impeccabile , linguaggio semplice. La soddisfazione di capire senza impazzire col dizionario.

    Dieci piccoli indiani sarà anche fra i più famosi ma per me è uno dei più malriusciti della Christie. Per tutti i buoni motivi che hai elencato. Inoltre è verissimo : c'è un tasso di macabro (slasher se vuoi) non comune nei libri della scrittrice. Non è tipico suo.

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    1. Io ho iniziato con lei e ha funzionato. Quindi mi pare saggio passare la dritta agli altri. Grazie per la lettura!

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