Filosofia interstellare- Battlestar Galactica

Sono quarant'anni che il nome Battlestar Galactica stuzzica il palato dei fan di fantascienza. Tra serie originale, seguito, remake, spin-off, web serie e un film per il grande schermo che pare prossimo a vedere la luce, ci sono abbastanza pietanze da farci indigestione. Senza contare il corollario di giochi, libri, fumetti e così via.
Servirebbe un'enciclopedia per trattare l'argomento per bene e, onestamente, io non sono nemmeno la persona più adatta per approfondirne i meandri.
Tuttavia sono stato toccato dalla grazia degli dei di Kobol. Tardi rispetto alla massa forse, ma il viaggio sotto i comandi dell'ammiraglio Adama l'ho percorso anche io.
Non so dirvi se ho trovato la Terra (visto che in un certo senso ci vivevo già), ma so che di argomenti intensi ne ho assaporati parecchi. Resta da vedere se mi sono stati serviti come un banchetto prelibato o sotto forma di polpettone indigeribile.

Il Galactica sul quale mi sono imbarcato è quello prodotto nel 2004 dal coraggioso Sci-Fy Channel, capace di realizzare il sogno di tutti quanti gli amanti degli esodi spaziali e produrre un remake della (s)fortunata serie datata 1978.
La storia è stata un filino rimaneggiata rispetto ai tempi di Sberla pilota dei Viper, ma l'incipit dell'avventura è restato più o meno quello.
I Cyloni, androidi costruiti dagli umani, si ribellano e attaccano le dodici colonie di Kobol. Per salvarsi i superstiti salgono sulla nave più scassata della lega (il Galactica appunto) e formano una piccola flotta che li porterà a spasso nello spazio. Il sogno di tutti è quello di trovare la tredicesima colonia, situata su un pianeta dal nome evocativo: la Terra.
Se avete letto tra le righe ci siete arrivati subito. Gli umani in fuga dalle macchine ribelli, stavolta, non siamo noi. C'è tutta una mitologia dietro gli eventi di Battlestar Galactica. Una mitologia che affonda le sue radici nell'antica Grecia e negli dei dell'Olimpo. Una mitologia fatta di esodi passati e di eterni ritorni. Una mitologia che da vita a una serie di fantascienza filosofica che a volte affronta argomenti teologici. Ma non temete. Si spara e le cose esplodono anche qui.
Il punto è che gli autori del nuovo Batllestar Galactica hanno scelto di non rinunciare alle potenzialità della fantascienza che forse limitarono il successo del genitore.
Anzi, si è voluto approfondire le tematiche, mettendo contro monoteismo e politeismo, religione e scienza, democrazia e dittatura, uomo e macchina.
Ce ne sarebbe abbastanza per farsi cascare i coglioni, ma in realtà la visione non viene mai appesantita da questi argomenti importanti.
Innanzitutto perché quasi a ogni puntata l'azione preme con forza sui protagonisti, costringendoli a lottare per sopravvivere. Poi perché gli scrittori hanno deciso di non guidarci passo passo nei loro ragionamenti, adottando un rapporto di fiducia verso il pubblico.
Una scelta matura che rispetto molto. Anche se a volte deve fare i conti con alcune incongruenze narrative piuttosto evidenti.
Si può dire che Battlestar Galactica sia bellissimo? Beh, può piacere davvero tanto, ma con le parole ci andrei pianino.

I problemi che avvolgono la serie iniziano dal modo in cui è strutturata. Nata in un periodo storico durante il quale le TV proponevano sempre stagioni da venti episodi (di quaranta minuti l'uno, tra l'altro) le prime difficoltà Batllestar Galactica le soffre proprio per questo motivo.
Venti puntate rischiano di essere un po' troppe per una storia del genere. Tenere insieme i pezzi di una narrazione simile è complicato e spesso tocca ricorrere a qualche episodio riempitivo per arrivare in fondo.
Specialmente nel corso della seconda stagione le trame verticali si sprecano. Vero, gli autori utilizzano questi intermezzi per approfondire il carattere dei personaggi principali. Ma il pubblico vuole la ciccia ed è normale che, quando non si segue la linea principale, le cose risultino un filo dispersive. Senza contare gli stravolgimenti che i protagonisti mettono in piazza da un certo punto in poi.
Perché le incongruenze di cui parlavo si notano soprattutto sotto l'aspetto caratteriale. Vero, i personaggi di un drama devono evolvere, altrimenti il racconto non risulta efficace. Tuttavia dovrebbero anche compiere un percorso.
Qui spesso certi atteggiamenti sono incomprensibili. Uno che in una stagione si rifiuta di distruggere la nave Resurrezione dei cyloni perché equivarrebbe a un genocidio (rischiando di suo), nella successiva si mette alla guida del gruppo che vuole distruggere Resurrezione senza muovere nemmeno una protesta.
Può essere che mi sia perso qualcosa, ma mi pare un atteggiamento troppo schizofrenico.
In più va detto che alcuni passaggi della trama paiono aggiunti in corso d'opera tanto per arrivare alla fine. Alcune variabili della narrazione compaiono dal nulla come se non fossero state progettate e lo stridore un filo si sente.
Insomma, un disastro? No, perché io sono tra quelli ai quali Battlestar Galactica è piaciuto. Non tantissimo magari, ma abbastanza da farmi venire voglia di approfondire il marchio.

Sono curioso vedere il film di Bryan Singer che sembra caldo ai blocchi di partenza. Perché assaporare questo universo con un'opera milionaria potrebbe risultare interessante.
Anche se, va detto, la scarsità di risorse dedicate alla serie ha costretto gli artisti a ingegnarsi. Si è scelto di portare in scena delle scenografie vintage. Una fantascienza molto vicina a quella vista nei vetusti Star Trek, ma che comunque mantiene una sua coerenza stilistica.
Non tutti gli attori rivaleggerebbero con Marlon Brando. Ma i loro personaggi (per quanto a volte incoerenti) hanno sufficiente carisma da coprire certe recitazioni non proprio da Oscar.
Ma se devo dirvi dove Batllestar Galactica mi ha convinto davvero, è nella gestione dei finali delle stagioni tre e quattro.
Li si vede il vero nucleo della storia che ci volevano raccontare. Il succo di uno spettacolo molto più intenso rispetto a quello di un telefilm low budget con le navine che scoppiano.
Io proprio non riesco a capire chi non ami il finale della serie. Un condensato che racchiude il senso dell'eterno ritorno di cui si permea tutta l'opera, con l'aggiunta dell'interpretazione di una delle risposte al paradosso di Fermi. Il tutto dopo quattro stagioni durante le quali, tra un combattimento e l'altro, si approfondiscono tematiche morali, religiose e scientifiche. Ma cosa si può volere di più?
Magari Battlestar Galactica non sarà la miglior serie TV della storia, ma a me l'ammiraglio Adama, il presidente Roselyn e tutti gli altri mancheranno. Parecchio.

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