CDC #50- Il cyberpunk nel paese più cyberpunk- Akira
Non amo la CGI.
Ok, lo so. Dico sempre le
stesse cose. Sono un vecchio rimbambito che insegue la sua dentiera
ribelle. Avete ragione. Ma questa volta sono qui per tentare di
analizzare la questione più in profondità
Perché non è lo
strumento il problema, ma l'uso che se ne fa (ecco una frase
originale che conferma il mio avanzato stato di decomposizione). Ci
sono dei titoloni capaci di integrare la computer grafica in maniera
straordinaria. Film nei quali si fatica a distinguere ciò che è
reale da ciò che è inserito in post-produzione. Capolavori di FX di
fronte ai quali anche io mi prostro.
Molta roba di supereroi ad
esempio, categoria che non mi risulta simpatica (lo so lo so, sempre
le stesse cose), ma che dal punto di vista estetico difficilmente
manca il bersaglio. O certe pellicole storiche, o spaziali, o.
Insomma ci siamo capiti.
Si potrebbe ribattere che
anche in questi casi spesso l'età finisce per pesare. Pensiamo
all'invecchiamento di Titanic, tanto per fare un nome importante. Ma
per ora sorvolerei sull'argomento.
Tutto il materiale di cui
sopra si riferisce a superproduzioni miliardarie. Pellicole che da
sole risanerebbero il debito pubblico in una manciata di minuti
mettendo silenzio su uno dei dibattiti politici più tossici della
storia. Cose collinari insomma:
Poi però esistono tutta
una serie di lavori meno sovvenzionati che devono fare i conti con la
dura realtà della vita. Film più o meno ambiziosi in grado di
offrire graficacce da C64 inserite in contesti sbagliati. Con colori
sbagliati. Diamine, qualche volta persino con risoluzioni sbagliate.
Il buono della CGI da
quattro soldi è che, appunto, costa quattro soldi. Quindi, quando i
denari scarseggiano, molte produzioni ci si buttano sperando di
restituire agli spettatori una porzione del mondo che sognavano in
fase di progettazione.
Ho visto alcuni bei film
umiliarsi in questo modo. Dico davvero.
Ma come risolvere la
situazione?
Beh, una strada potrebbe
essere il ritorno all'analogico. In certi generi l'utilizzo
dell'artigianato ha costruito vere e proprie icone. Pensate allo
Xenomorfo. O a ET.
Bisogna ingaggiare artisti
bravi per non trovarsi di fronte ai pupazzoni di Troll 2 e immagino
che costino. Ma secondo me, a conti fatti, non ci si allontana troppo
dal budget di una CGI qualitativamente scadente, con in più la
possibilità di offrire un prodotto migliore.
Vero è che per la
fantascienza il discorso potrebbe anche rivelarsi complicato. Non
siamo più negli anni settanta, quando bastava una struttura in
cemento armato, parto di qualche architetto sotto acido, per
percepire futuro. Inoltre le astronavine attaccate con lo spago e le
tute di gomma e satin sono state spazzate via dall'Impero.
Ecco, forse nel caso dello
Sci-Fi bisognerebbe ricorrere a qualche cosa di diverso. Ma cosa?
Fatemi pensare.
Ecco, ce l'ho! Cosa mi
dite dell'animazione integrale?
Dal punto di vista
dell'esperienza visiva, Akira centra esattamente il punto al quale
volevo arrivare. Gli autori giapponesi hanno potuto costruire la loro
scenografia senza freni, inventandosi una città enorme e
riempiendola di avvenimenti esagerati, con tanto di psichedelia
finale, gente che si gonfia, esplosioni atomiche, elicotteri. Il
tutto senza che nessun particolare sembrasse fuori posto.
La storia forse la
conoscete già. Siamo a Neo Tokyo, città ricostruita dopo un
olocausto nucleare e arrivata al suo 2019 in piena decadenza
spirituale. Dominata da politici corrotti, tormentata dalle proteste
studentesche, violentata da bande di giovani motociclisti sempre in
guerra tra loro, NT sembra aspettare solo il ritorno di Akira,
mitologica entità che un tempo ha purificato l'umanità corrotta. Ma
che forse è solo una leggenda.
Quello che davvero esiste è il
“progetto Akira”, una sorta di sperimentazione messa in piedi dal
governo per creare chissà quali super-uomini. Tetsuo, uno dei
motociclisti scavezzacollo di cui sopra, finirà per conoscere molto
da vicino le follie della scienza.
A vederlo con un certo distacco Akira
ha davvero tutto per essere un'opera magna della fantascienza. La
costruzione delle dinamiche che regolano la metropoli è
affascinante, la resa estetica convincente, ma soprattutto la
scrittura dei personaggi sorride ai grandi maestri del genere.
Stratificati, spinti da motivazioni
forti, capaci di farmi cambiare opinione continuamente su di loro, i
caratteri che animano il film riescono ad esserne il vero elemento
trainante. In questo senso ho adorato la figura del colonnello
Shikishima, spietato dittatore per qualcuno, unico protettore per
altri, è fermamente convinto di rappresentare il vero guardiano di
Neo Tokyo. L'ultimo baluardo prima delle dissoluzione totale.
Akira rimane impresso nelle retine per
la sua magnificenza visiva, è vero. Ma se sopravvive da trent'anni
con questa forza è perché racconta una storia di personaggi veri,
anche se solo disegnati.
Peccato, però, che ciò
valga più per gli antagonisti che per i protagonisti.
Ciò che mi ha convinto
meno del film è stato proprio il corpo principale della trama.
Possiamo girarci intorno quanto vogliamo, ma qui ci troviamo di
fronte all'ennesimo young-adult di cui mi sono cibato in questo
periodo.
Non è una colpa eh, per carità. Ma
affidare le redini di una vicenda così complessa a dei ragazzini
toglie qualcosa alla profondità della narrazione. Inevitabile.
Tutto dovrebbe ruotare attorno alla
potente amicizia che unisce Tetsuo e Kaneda. Il motore della storia è
attivato dal desiderio del secondo di salvare il primo e dalla realtà
che apprende quando scopre che Tetsuo è cambiato.
Il fatto è che c'è troppo in gioco
per concentrarsi su questo. Il fascino della decadenza, il desiderio
di scoprire cosa o chi sia veramente Akira, il ruolo dei bambini
anziani strappano al cuore del racconto buona parte dell'emotività
che dovrebbe accenderlo.
Tetsuo e Kaneda stanno insieme troppo
poco e la loro amicizia viene trattata come una semplice
informazione. Insomma, in buona sostanza a me di Kaneda non frega
nulla. Ecco, l'ho detto.
La sua è una linea
narrativa fiacca, che tende ad alleggerire nel suo rapporto con la
terrorista Kei e che cerca il drammone nei momenti topici. Ma non
funziona. Mi dispiace. Non fa vibrare le mie corde.
Chiaramente quando si effettua una
riduzione cinematografica si è costretti a dei compromessi.
Facilmente nel manga dal quale il film è tratto questi aspetti
verranno indagati più a fondo.
Qui si è scelta una strada diversa.
Akira vince il suo scontro con la storia del cinema perché è capace
di disegnare un futuro distopico credibile utilizzando immagini
forti. Parla di corruzione, degli eccessi di una scienza senza etica,
delle conseguenze dell'agire pensando al subito e non al lungo
periodo. Lo fa mettendo in gioco personaggi mai univoci, che paiono
nemici e invece forse sono amici e viceversa. E ci racconta di un
mondo caduto, abitato da gente persa e svuotata, di una città
sfarzosa e luccicante sopra, quanto sporca, povera e depravata sotto.
Insomma Akira si costruisce un contesto
potentissimo e indimenticabile, anche grazie ai suoi disegni e alla
sua animazione.
Ma sceglie di non dare
forza al suo nucleo principale, lasciando che l'amicizia tra i due
protagonisti sia solo una nota a margine, utile a capire cosa succede
ma non abbastanza intensa da farci affezionare ai due. Una mancanza
non da poco, secondo il mio punto di vista.
Tuttavia Akira è qui a
dimostrarci come l'animazione integrale possa essere una buona idea
quando si affronta la fantascienza. Certo, per ottenere risultati
simili forse i fondi che servono non sono troppo inferiori a quelli
impiegati in un blockbuster collinare.
Tuttavia, con qualche
pretesa in meno, è una cosa che si può fare. Tanto alla fine la
coerenza estetica è l'unica cosa che conta.
Bisognerebbe solo
liberarsi dal paradigma che vuole che i cartoni animati siano roba da
ragazzini. Allora forse anche le storie dei protagonisti potrebbero
diventare più interessanti.
Ma ci arriveremo. Quelli
cresciuti con Mazinga sono ormai adulti.
E spesso ne vogliono
ancora.
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