102 volte Indy 500 e la passione degli americani per la plastica.

Ok, anche questa edizione della Indianapolis 500 è andata in archivio (da un po' a dire il vero, ma mi pare giusto coprire la corsa più veloce del mondo con tutta la lentezza di cui sono capace).
Potrei impiegare migliaia di parole per raccontarvi della vittoria di Will Power, di come l'australiano abbia riscattato nel solo mese di maggio una stagione a tratti inquietante o addirittura della magia che circonda un pilota un tempo considerato indatto agli ovali e ora vincitore della corsa in tondo più prestigiosa del pianeta.
Da qualche parte del mio hard disk dovrebbe addirittura esserci un testo che affronta questi argomenti con la solita perizia. Ma ho pensato che non ve ne fregherebbe proprio niente di tutto ciò.
Per cui ho deciso di affrontare la questione da un altro punto di vista. Ma prima un doveroso omaggio al vincitore:

L'edizione 2018 della Indy 500 è stata fortemente condizionata dai nuovi aerokit portati dalla Dallara. Queste configurazioni hanno diminuito il carico aerodinamico, favorendo una corsa in stile vintage.
Niente più grupponi ciclistici con ducentomila sorpassi, quindi. Piuttosto si è assistito a una competizione durante la quale conquistare la testa è servito anche nelle primissime fasi di gara. La scia, per quanto utile, non è stata il solito elemento fondamentale e anche gli incidenti sono avvenuti con dinamiche old style, con il posteriore che partiva con leggiadria e portava tutta la vettura a spalmarsi sui famigerati muretti dell'Indiana.
Vittime di questi problemi sono stati giovani piloti, disabituati a certi modi estremi di guidare su ovale, ma anche vecchie volpi della categoria, come Elio Castroneves o Danica Patrick, che aveva scelto proprio la Indy 500 per chiudere la sua splendida carriera.
Insomma un ritorno al passato che ci ha donato una corsa molto più bella e credibile rispetto agli ultimi anni.
Peccato ci trovassimo di fronte all'ennesima plastificazione in stile americano.

Due motoristi con prestazioni quasi plafonate e un unico modello di telaio per tutti continuano a non rendere onore a una corsa che in passato fungeva da laboratorio per le soluzioni tecniche più bizzarre.
La Indycar, del resto, non può muoversi diversamente e, dopo un ventennio di scissioni e tentativi di internazionalizzazione, ha trovato la sua dimensione adottando questa formula.
Con l'unica vera attrattiva della serie rappresentata dalla 500 miglia, la categoria soffre troppo la concorrenza della Nascar che con le sue duemila gare a stagione e l'origine popolare che la contraddistingue, trova molti apprezzamenti tra la nutritissima popolazione di rednecks che foraggia le tv via cavo.
Ci può stare quindi. Si può anche decidere di accettare una 500 miglia in versione light, purché questa gara rimanga nel panorma automobilistico mondiale.
Il problema è un altro. Il fatto è che gli americani sono sbarcati alle nostre latitudini e hanno intenzione di applicare gli stessi metodi anche nella classe regina delle corse automobilistiche.


Questi tre signori sono le facce che Liberty Media ha deciso di offrirci domenicalmente sui teleschermi. Sono loro e chi sta dietro di loro a decidere, sostanzialmente, il futuro della Formula 1. E, a parte Ross Brawn che tutti avrete riconosciuto (vero?), sono dannatamente yankee.
Se c'è una cosa che ho imparato nel corso della mia esistenza è che gli americani quando prendono in mano uno spettacolo cercano di avvicinarlo al loro gusto. E' una questione di imperialismo, magari nemmeno volontario. Sti tizi sono incredibilmente convinti di essere gli unici al mondo che si sanno divertire.
Per dire, a loro del fatto che vinca il migliore non interessa asosolutamente nulla. Anzi, deve vincere quello che meno ti aspetti. Per cui hanno intortato le loro corse con regole bislacche che favoriscono l'intervento della safety car anche se uno riga la macchina in parcheggio e si godono strategie folli nate dal caso, che spesso premiano chi ha avuto fortuna e non chi ha studiato per bene l'andamento della competizione.
Ora, che nel loro continente questo sia il modo di vivere le corse a me sta anche bene. Facciano ciò che vogliono. Ma che mi trasformino la Formula 1 in un baraccone governato dal lancio dei dadi, francamente, un po' di fastidio me lo da.
Hanno già iniziato, tra l'altro. L'abolizione delle grid girls è un'operazione di puro perbenismo USA, figlia delle urla lanciate negli ultimi tempi e di un certo bigottismo tipico dello stile WASP. Tutte le manfrine pre gara, le interviste in pista e tante altre novità arrivano direttamente dal modo Liberty di vedere le cose.
Ma fin che parliamo di queste robette qui, che sono il contorno all'evento, mi può andare bene tutto, davvero. Sono le loro idee a proposito dell'evento stesso a preoccuparmi.
Che la categoria non sia lo spettacolo più pirotecnico dello sport moderno ve lo posso anche concedere. In gara ci si supera poco, spesso i gran premi sono noiosi, eccetera. Se sono queste le lamentele con le quali siete tentati di giustificare i progetti di Liberty Media, avete perfettamente ragione. E' tutto vero.
Ma fermatevi un attimo prima di dire l'enorme cagata che "una volta era molto più divertente". No. La Formula 1 è quella che vedete alla domenica. Lo è sempre stata. Ci sono state, ci sono e ci saranno, gare indemoniate che tengono in piedi fino alla bandiera a scacchi. Ma sono poche nel corso della stagione e oggi sono persino in numero maggiore rispetto a un tempo. Se volete vedere sorpassi a ripetizione dovete rivolgervi alle motociclette. Lo dice la fisica, non io.
Ma gli americani sono smargiassi per costituzione e sono decisi a ignorare tutto ciò. Loro sono scesi tra noi per donarci lo Spettacolo.
Come? Intanto aumentando il numero dei gran premi (si dice 24 nel 2019, una follia) in pieno stile Nascar. Magari infarcendo il calendario di circuiti cittadini che sono la morte del motorsport, con i loro budelli stretti dove non si va forte e non ci si passa. Parrebbe un controsenso, ma se il concetto di spettacolo è rappresentato dall'incidente (possibilmente incruento, che ci guardano i bambini) e dallo stravolgimento delle strategie, magari con sorpassi finti e casuali, potrete farvi un'idea di dove vogliano andare a parare i nuovi capi del carrozzone.
Senza considerare i soldi di pubblicità che si possono ricavare durante il regime di safety car, con i famigerati super spot a ingrossare i portafogli. Sul serio, avete mai provato a seguire una corsa sui canali USA? E' un'atrocità.
Infine c'è la grande voglia di equiparare le prestazioni. Per un appassionato come me una bestemmia bella e buona. Lo standard uccide la ricerca. E la ricerca è lo scopo finale del motorsport. Le ire di Marchionne nei confronti dei capi nascevano da qui (oltre che dalla questione monetaria).
Ridurre la Formula 1 a un monomarca spurio significherebbe toglierle anche la poca dignità rimastale.
Davvero vogliamo arrivare a questo?
Come la vedete?
Ma dove siete andati tutti?

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