I cimeli del cinema #14- Barry Seal

“Tratto da una storia vera” è una frase che per molti equivale a una garanzia di qualità, senza la quale recarsi in una sala cinematografica sarebbe come perdere tempo.
Io non nutro tutta questa sacralità verso questo disclamer; anzi, negli ultimi tempi ho imparato a nutrire un certo sospetto verso di esso. Specialmente nel caso di film biografici, infatti, il rischio di trovarsi di fronte a opere scialbette e poco profonde è piuttosto concreto.
Non amo le distanze che spesso i registi si prendono dallo spettatore nel costruire questo genere di pellicole. Così come, molto spesso, 'ste grandi vite vissute non suscitano in me nessun tipo di interesse. A scavare con attenzione, si rivelano tutte uguali. E tutte noiose.
Insomma, se invece di “tratto da una storia vera” un film fosse “tratto da una storia bella” probabilmente tenderei godermelo di più.


Barry Seal è un pilota d'aereo e contrabbandiere di sigari che alla fine degli anni settanta viene contattato dalla CIA per le sue capacità in volo. Diventerà così fotografo aereo per i servizi segreti, trafficante per il cartello e, cosa non indifferente, multimiliardario.
Questo film vuole a tutti costi essere brillante; lo si intuisce fin dai titoli di testa, con quella virata verso il classico che dovrebbe aiutare lo spettatore a entrare nell'atmosfera. Un montaggio serrato, che miscela la trama principale con immagini d'epoca e sequenze brevissime, la musica del periodo e una patinatura moderna, lavorano incessantemente per trascinare il pubblico dentro una vicenda intensissima, fatta di ritmi serrati e un sacco di movimento. Se a ciò si aggiunge un Cruise che sfonda la quarta parete utilizzando lo stratagemma della video registrazione, il gioco parrebbe fatto.
E invece io mi sono annoiato a morte. Mentre lo schermo si riempiva di follia, mi sono ritrovato quasi sconfitto dalla piattezza di una storia (vera eh, è importante) vista milioni di volte e interpretata con palliativi che dovevano sembrare ganzissimi al regista, ma che invece si sono rivelati fastidiosi come i gessetti sulla lavagna.
Perché la realtà dei fatti è che le storie le costruiscono i personaggi e qui di personaggi non ce ne sono.
Passi per la caratterizzazione dei secondari, che sono tantissimi e non potevano prendere troppo spazio per non rallentare ulteriormente questo mattone (anche se a tipetti come Escobar e Noriega una frasetta la sui poteva anche mettere in bocca, tanto per farsi una idea di che tipo di uomini fossero). Ma che Barry Seal, che compare in ogni singolo frame di questo lavoro, non fosse altro che un pupazzo col sorriso ebete di Tom Cruise sempre stampato in faccia, è una cosa che mi ha lasciato basito (F4).
Il protagonista di questa avventura non si afferra mai. Il suo carattere e i suoi scopi sono talmente aleatori da non permettere, non dico un'immedesimazione (rimane un criminale alla fine della fiera), ma nemmeno un briciolo di empatia con chi sta guardando.
Si finisce con il guardare la storia (vera, fondamentale particolare) di un tizio x che fa cose. Ma come può essere interessante una vicenda simile? Potrebbe, se il tizio non fosse x e provasse a trasmettere qualcosa di più di una sequenza di avvenimenti freddi, ma tanto colorati.

Non lo so come la costruzione di questa sceneggiatura possa essere andata così storta. Probabilmente gli autori, alle prese con una storia vera, non volevano mettere in gioco situazioni che potessero provocare la reazione di qualche studio legale.
In realtà, a ben pensarci, dalle parti delle colline che dominano Los Angeles, questa è un'attitudine piuttosto consolidata. Per rimanere a casi recenti, anche Gold e The Founder pativano un po' lo stesso problema (ed erano interpretati da attori anche più completi di Tom “So Solo Sorridere, Ma Sono Ancora Bellissimo” Cruise). Quindi qualcosa non torna.
Considerazione mia: Hollywood dovrebbe stare attenta a mettersi in competizione con certi documentari di stampo televisivo che ultimamente vengono premiati dagli ascolti (non parlo di Alieni: Nuove Rivelazioni). Questi ultimi prodotti possono permettersi un certo distacco dalle storie che raccontano, in quanto arricchiti con immagini reali e interviste a persone in qualche modo inerenti alle loro narrazioni. Lo scopo di tali lavori è quello di intrigare gli spettatori (utilizzando spesso anche montaggi spettacolari, non metto in dubbio) e farli interessare agli argomenti trattati, di modo che, se vogliono, possano approfondire. Questo fa la divulgazione.
Il cinema invece è finzione e lo è sempre (si, anche quando c'è scritto storia vera). L'unica cosa che conta in un film è la narrazione e l'effetto che attraverso di essa si vuole ottenere sul pubblico. Se per raggiungere l'obbiettivo si è costretti a piegare personaggi e vicende allo scopo, si fa e basta.
Starsene ragionevolmente lontani, non prendere le parti di questo o quel personaggio (anche se tentando di non giudicarne mai nessuno) e coprire tutto con un po' di montaggio frizzantino, non serve proprio a nulla. Quando si decide di ispirarsi ai fatti della vita vera si accetta anche la conseguenza che a qualcuno che quei fatti li ha vissuti, la propria interpretazione non piaccia e decida di far volare le carte dell'avvocato.
Se no si cambiano nomi, cose, città e si va via tranquilli. Certo, non potendo vantarsi di aver scritto “tratto da una storia vera” sui titoli di testa, così poi vanno tutti a vedere Star Wars.

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