CDC#13- Rush vs Grand Prix

I più attenti, tra la radissima schiera dei miei lettori, avranno certamente notato il mio amore per le corse automobilistiche (tra l'altro non ricambiato si direbbe, vista la mia scadente abilità alla guida).
Sono affezionato all'aspetto più mainstream dell'argomento, ovvero la Formula 1; tuttavia non disdegno di seguire la 500 miglia di Indianapolis (come avete letto qui) e non nego di essere capace di imbambolarmi per ore davanti alla TV mentre vanno in onda i camera car notturni dalla 24 ore di Le Mans.
Se, inoltre, non è la prima volta che decidete di buttare il vostro tempo tra queste righe, vi sarà capitato di inciampare in un'altra delle mie passioni coltivate malissimo: il cinema.
Va da se che quando questi due mondi trovano un punto di contatto, io viva un breve orgasmo prima di mettermi a studiare il risultato di tale alchimia.
Non è delirio il mio (non eccessivo almeno), ma la constatazione pratica di come un regista che scelga di mettere in scena il mondo delle gare debba fare i conti con qualcosa di inarrivabile per chiunque. Ovvero quel Grand Prix che 50 anni fa permise a John Frankeneimer di scrivere l'alfabeto del cinema motosportivo.
La mia missione consiste nel capire se l'ultimo arrivato sia riuscito a insidiare il trono di un monarca ormai mitologico.
Quando uscì Rush ammetto di aver pensato per un certo momento che Ron Howard ce l'avesse fatta. Una storia solida, persino più accattivante di quella del suo illustre predecessore, ed ettolitri di adrenalina su schermo, sono stati gli ingredienti capaci di convincermi che il re fosse stato infine spodestato.
Rivedendo entrambi questi lavori in epoca più recente, però, mi sono trovato costretto a mutare opinione in merito. Perché? Diamine, sono qui apposta per dirvelo:


La trama parla della rivalità intercorsa tra James Hunt e Niki Lauda, piloti di vertice nella Formula 1 anni settanta. Seguiamo la storia del loro avvicinamento alla categoria e, in seguito, della loro stagione chiave nella stessa, quando i loro destini si scontrarono nel confronto che avrebbe portato all'iride. Tra lotte furibonde e incidenti drammatici, la sfida dei due si preparava ad entrare nella storia della massima serie dell'automobilismo da corsa. O almeno così ce la vende il buon vecchio pel di carota Cunningham.
Va detto che il regista americano, scegliendo di mettere la basi della sua vicenda nel mezzo di una storia vera, si è procurato subito un vantaggio rispetto al capolavoro di Frankeneimer.
A un primo sguardo la struttura narrativa donata da Howard alla sua pellicola appare decisamente più tangibile rispetto al romanticismo un po' demodè di Grand Prix. Ron ha preso gli eventi, li ha romanzati al fine di renderli adatti alla finzione cinematografica (i fatti del Fuji, per esempio, non andarono come descritti qui) e ha messo in piedi una rivalità credibile anche se, sostanzialmente, inesistente nella realtà.
Grazie al discreto lavoro di Hermsworth (un filo sopra le righe forse) e alla quasi perfetta caratterizzazione di Bruhl (uno dei migliori talenti attualmente in circolazione), il film vive su un dualismo composto da due piloti accomunati dal rifiuto delle famiglie di supportarli, ma diversi in ogni altro aspetto del carattere. Uno scontro in pista che coinvolge anche la filosofia con la quale i protagonisti affrontano la vita e lo sport.
Si tratta di un duello dalle radici europee al quale il regista sceglie di far indossare un mantello fatto di spirito americano. La realtà dei fatti ci dice che la rivalità acerrima tra Lauda e Hunt non ha mai raggiunto i picchi d'intensità narrati qui, tuttavia Ricky è stato capace di creare attorno a questo confronto un'epica di tutto rispetto.
Ma se al primo impatto questa vicenda colpisce nel modo giusto, alla seconda visione finisce per perdere parte del proprio pathos. Esattamente l'opposto di quanto succede proiettando sullo schermo il film di Frankeneimer. Grattando sotto la superficie di Grand Prix si incontra una storia che parla di un tempo pieno di cambiamenti, con i quali la visione romanticamente cavalleresca dei protagonisti deve fare i conti (ne parlai diffusamente qui, se interessa. Dai su che son poche righe, non fatemi ripetere tutto).
Insomma, a mancare in Rush è il sotto-testo. La storia è quella e così va presa e, al di la delle solite lezioni sulla determinazione e sullo sport che insegna la vita, non è che nasconda chissà quale riflessione. Che va benissimo eh, per carità.






Poi c'è l'odore di benzina. O meglio, sopra ogni cosa c'è l'odore di benzina. Ricky rende discretamente bene il profumo delle corse, utilizzando una tecnica mista che prevede l'utilizzo di effetti speciali analogici e lavoro in CGI.
La prima volta che vidi il film riuscii solo ad eccitarmi come una belva affamata in una arena piena di gladiatori sanguinanti e disarmati. La gioia che provai, impattando con tanta forza contro quello schermo pieno di bolidi anni settanta, fu talmente elevata da non consentirmi nessuna critica. Poi però il film l'ho rivisto e non ho potuto fare a meno di notare i danni del computer. Non grandi cose, sia chiaro, ma la sensazione di artificiosità in quei momenti è percepibile, come ogni volta che questa tecnica viene utilizzata. O quasi.
Chiaramente utilizzare gli strumenti dell'era digitale semplifica il lavoro e abbatte il budget, ma continua a lasciare dietro di se l'amarezza dell'imperfezione ed è sempre un peccato.
Anche questo set, quindi, finisce per aggiudicarselo Frankeneimer; e vorrei anche vedere. Ai suoi tempi, per far girare un pixel sullo schermo di un oscilloscopio servivano computer grandi come le Petronas Tower. John dovette per forza di cose utilizzare i cari vecchi sistemi della nonna. Ma lo fece in modo superlativo, riuscendo, pur con i mezzi scomodi dell'epoca, a trascinare lo spettatore in un circuito e a fargli provare l'ebbrezza della velocità. Girano certe foto sui backstage di quel film che spiegano benissimo fino a che punto si siano spaccati il lato B per creare quello spettacolo e se doveste trovarle capireste benissimo cosa intendo.
Certo, con questo discorso non sono qui a dirvi che Rush sia un film pessimo, anzi. Se siete amanti del genere, ma anche se non lo siete, resta una visione consigliatissima, carica di divertimento senza compromessi e difficilmente vi pentirete delle due ore trascorse insieme a Ricky, James, Niki e altre miriadi di celebrità anni settanta.
Tuttavia il confronto con Grand Prix non lo regge, inutile dire il contrario. Il re, anche stavolta, è rimasto titolare del suo trono e penso che per molto tempo ancora possa stare seduto tranquillo a osservare il fiume con tutto il suo corollario di nemici.
Che poi, detto tra noi, anche chissene. Alla fine il cinema deve divertire e intrattenere, possibilmente con un po' di testa. Non importa chi è che ce l'ha più lungo. E' che se non affrontavo il confronto rischiavo di non avere un post da scrivere.
Certo, messa così devo ammettere di avervi fatto solo perdere tempo. Ma non lo faccio sempre dopotutto?
Bacioni.

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