CDC #157- Le lunghe giornate di Arrakis: Dune Part 1 (2021)

Dune è un film bellissimo da vedere, con le sue strutture imponenti, i vermi della sabbia e la magnificenza creativa che ci sta dietro.
Un'estetica che fa onore ai 165 milioni spesi dalla produzione, rafforzata da un comparto sonoro potente che aggiunge maestosità a tutto il complesso.
Davvero un gran peccato che qui staremmo vedendo un film e non uno spettacolo artistico fine a se stesso. Perché se no avrei già finito il commento e potrei finalmente andare a dormire.

Per un'ora abbondante guardando Dune ho avuto la netta impressione di conoscere la storia che mi veniva raccontata. Ma mica perché io abbia letto il libro (cosa mai accaduta) o perché ricordassi il film del 1984 (visto, ma troppo tempo fa, tanto che non ne rimembro nemmeno un frammento). Piuttosto ho avuto la sensazione di intuire uno schema così rigido e consueto da non provare assolutamente nessuna apprensione per ciò che accadeva sullo schermo.
Ciò che vedevo mi pareva perfettamente sovrapponibile a decine di altri prodotti già passati davanti ai miei occhi.
Villeneuve infila gli eventi in sequenza, quasi preoccupato dal pericolo di farsene sfuggire qualcuno. Ma non li racconta. Le cose accadono in un ambiente magniloquente ma asettico, senza che nulla arrivi alla poltroncina. Una sequenza di avvenimenti talmente prevedibile da farmi urlare al regista: va bene, ho capito vai avanti!
Almeno finché la maschera non mi ha buttato fuori dalla sala, si intende.
Certo, direte voi. è lo stile di Villeneuve ad essere freddo e pomposo. Del resto ricordiamo tutti quanti Sicario. Posso anche dirmi d'accordo con voi su questo, ma opere come Enemy o Arrival sono riuscite a colpirmi. Quindi non è tutto lì.
C'è che forse non tutti gli attori mi sono sembrati in bolla. Per dire: l'osannata Rebecca Ferguson a me non è piaciuta quasi per nulla. Così come Josh Brolin mi pareva avesse poca voglia di stare li. Oskar Isaak (che fino a un mese fa nemmeno sapevo chi fosse e ora lo trovo dappertutto) ha la faccia giusta, ma viene utilizzato appena. Eccetera eccetera. Tante facce note, insomma, ma poca cura nel disegno dei personaggi. Ci sono, hanno un compito da portare a casa e lo fanno. Ma entrano ed escono come lampi.
Perché Dune si occupa sostanzialmente di Paul Atreides e del suo avvento messianico su Arrakis. Vi dirò, non avrei scommesso un centesimo su Timotèe Chalamet. Quel faccino da giovane imbronciato col ciuffo che impazzire fa le ragazzine mi induceva a temere il peggio. Invece alla fine è quello che se la cava meglio dentro questa storia. Dolente quanto basta, profondo il giusto, senza gli eccessi che altri colleghi più famosi sono forse costretti a mettere in scena.
Sarà per questo che gli unici picchi di un grafico altrimenti piatto toccano proprio a lui. La scena della visone sotto la tenda nel deserto, in cui il protagonista conosce un potere che ancora non possiede e vede la grandezza del suo futuro, rimanendone sconvolto, è forse l'unico momento di esaltazione di tutta la visione oltre che raro appiglio per l'eventuale seguito.
Credetemi se potete. Nemmeno il bombardamento Harkonnen è riuscito a svegliarmi dal torpore cotonato che mi avvolgeva. Sono consapevole che anche la profezia faccia parte di uno schema collaudato, ma è l'ennesima conferma di quanto conti il metodo che si adopera per raccontare le cose.
La lista della spesa, per quanto scritta con una splendida grafia, su carta profumata e con il bacio di rossetto sullo sfondo, resta una lista della spesa. L'avvincente storia degli alimenti, invece, potrebbe suonare diversamente.
(che esempio di merda, scusate).

Dune parte uno è il prologo di una saga che non era stata annunciata ufficialmente al momento dell'uscita. Lascia la sua storia ferma lì promettendoci un Bardem in versione gitana e una seconda parte più pimpante di questa. Chi lo sa se sarà davvero così?
Comunque dopo questa prima interazione non lo so mica se voglio dargli ancora sette euri a questi.


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