Lo spettatore #250- Una faccia da schiaffi: Senza esclusione di colpi (Bloodsport, 1988)

Dice che Bloodsport racconta la storia vera di Frank Dux e del suo inatteso trionfo al Kumitè del 1975. Tutte cose millantate dall’artista marziale senza prove, ovviamente, ma comunque intriganti per scriverci sopra un bel film di schiaffoni e lanciare la carriera di un tizio snodabile che di nome fa JCVD.
Tramina piuttosto esile quella messa a terra da Christopher Cosby e Mel Friedman: in sostanza si sa che c’è un torneo clandestino a Honk Kong, si sa che parteciperà il visetto di JCVD (e che quindi lo vincerà) e si vede subito un personaggio con la faccia da bullo delle medie che non potrà che essere il grande cattivo della vicenda, quel Chong Li (Bolo Yeung) spietato e scorretto con il percorso già preparato per la finale. Diciamo che non serve essere molto acuti per capire come andrà a finire, ma può comunque rivelarsi interessante scoprire come il film ci condurrà attraverso il percorso.
Newt Arnold decide di offrire il centro della scena a Van Damme, qui al primo ruolo di rilievo (forse portato dentro dal direttore della fotografia David Worth che abbiamo già incontrato su questi schermi e che lo aveva diretto in Kickboxer). Accanto a lui mette Donald Gibb nel ruolo dell’amico tutto matto, la bionda giornalista interpretata dallo sguardo svampito di Leah Ayres e una stramba coppia di sbirri lanciata al suo inseguimento formata dal duro Norman Burton e dalla linea comica rappresentata da Forest Whitaker. Il resto è tutto torneo.
Del resto Bloosport ha un pubblico preciso al quale rivolgersi, ovvero gli appassionati di arti marziali che all’epoca riuscivano ancora a portare bei soldi al botteghino.
Per accontentarli però Arnold deve fare le cose fatte bene e per quanto mi è dato di capire, io credo ci sia anche riuscito (infatti stato premiato dagli incassi). Van Damme è ovviamente l’uomo giusto per questo genere di pellicola: fa le spaccate come nessuno, molla calci volanti librandosi a diversi metri dal suolo, ha un fisico che sembra studiato in laboratorio ed è agile come un gatto. Per di più la faccia da bimbetto che sfoggiava permetteva ai giovani nati a occidente di immedesimarsi con il personaggio, contribuendo all’esaltazione verso uno sport che stava vivendo una nuova giovinezza.
A completare l’opera le riprese del torneo, nel quale spesso gli atleti vengono lasciati liberi di eseguire le coreografie senza grossi tagli di montaggio, rendendo alcune fasi della competizione coinvolgenti.

Ovvio, mi riferisco agli incontri secondari, quelli dove non vediamo Frank Dux, Chong Li o Ray Jackson scontrarsi con avversari importanti, perché quando la situazione si fa spinosa Arnold cerca l’effetto drammatico tramite effetti e tagli preparati con cura che fanno bene il loro lavoro. Interessante anche l’idea di far arrivare al Kumitè atleti provenienti da tutto il mondo, ognuno col suo stile peculiare. In questo senso spiccano assurdità come il combattimento alla Bud Spencer di Jackson o le movenze scimmiesche del lottatore africano, roba che se la fai oggi ti ritrovi un ergastolo nella fedina penale. Scelte prive di senso logico, ma che donano colore a una pellicola che, pur senza approfondire troppo i meccanismi della competizione, riesce comunque a renderne la logica. Talmente bene che vien da pensare che videogiochi come Street Fighter o Mortal Kombat debbano più di un credito a Bloodsport.

Naturalmente Senza Esclusione Di Colpi inizia a soffrire il peso dell’età, magari non nelle riprese, ma nella gestione dei ritmi e soprattutto in una colonna sonora che ascoltata oggi suona sbagliata in molti modi diversi, ma soprattutto fa sentire il periodo storico nel quale è stata realizzata, che era caratterizzato da suoni che sono diventati vecchi già nel 1990.
Tuttavia è difficile non divertirsi a guardare questo prodotto, anche se non si è fan delle arti marziali. Le sue ingenuità narrative, unite alla bravura degli atleti lo rendono onesto come pochi altri si sono dimostrati dopo di lui. Un film girato da persone che ci credevano e che amavano il genere, prima ancora che da furbi pronti a ingrassarsi seguendo la moda del momento.
Non una grande pellicola, ma una dignitosa ora e mezza di intrattenimento.






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