Vi racconto una storia: Nostalgia
Quando non saremo vicini
ti basterà pensarmi forte per avermi con te, mi disse una volta.
Come se questo espediente potesse farmi passare la nostalgia.
Per capire quanto avesse ragione dovetti aspettare di andare in quell'assurdo centro commerciale che si sforzava di luccicare dello scintillio dei giorni migliori, senza però riuscire a nascondere le ferite evidenti. È stata la bomba, ti dicevano i giovani che si trovavano a gruppetti, affollando terrazze e soppalchi come se tutto fosse a posto. Quale bomba? Quando? Chiedevo io. Ieri, una settimana fa, un mese, rispondevano loro. Io non ne sapevo nulla, così come non sapevo cosa stavo facendo lì, in un posto senza niente da comprare, solo nella moltitudine. Fu in quel momento che capii quanto mi mancava e che iniziai a pensare a lei e a quanto la volessi lì. Ci fu una strana vibrazione, ma non una di quelle che capitavano di continuo dentro quel posto macilento. Questa proveniva da me, dalle viscere, come una scossa. E lei comparve.
La vedevo come vedevo tutti gli altri. Ciao, mi disse e io restai lì come un fesso a deglutire saliva che nemmeno riuscivo a produrre. Sorrise. Te l'avevo detto che sarebbe successo. Aveva ragione, ma era un evento così straordinario che non sapevo come rispondere. La gente pareva averla notata, anche se sapevo che la potevo vedere solo io.
La toccai. C'era. Beh, disse. Non ti fidi?
Devo andare in bagno. Solo quello fui capace di dirle. Tanto sai come trovarmi, fece lei serena.
Andai in bagno e quello era forse il posto peggiore dell'edificio. La luce rischiarava l'ambiente come se fosse appena stata installata, ma tutti i cessi perdevano acqua, tanto che si era formato un lago sul pavimento. Sarei dovuto uscire subito, ma mi scappava troppo per poter rimandare. Così la feci, impregnandomi le scarpe di acqua e pensando a come fosse possibile che lei fosse comparsa lì. Non poteva essere. Forse non era. Magari ero io a essere andato fuori di testa. La nostalgia poteva essere una brutta bestia.
Stavo finendo i miei pensieri e la mia minzione, quando un boato scosse il pavimento muovendo onde sul piccolo mare nel quale ero immerso.
Uscii e capii subito ciò che era accaduto. Un soppalco, quello nel quale mi trovavo io prima di dedicarmi alle mie funzioni, era crollato. Troppa gente in un luogo così instabile. L'avevo già pensato, anche se non immaginavo un disastro del genere. C'erano persone che urlavano e io, improvvisamente, mi preoccupai per lei, anche se non avrei dovuto, visto che in effetti lei lì non c'era.
Infatti quando arrivai nella zona del disastro la trovai lì, tranquilla ad aspettarmi. Mi stavo preoccupando per te, le dissi. Non serve. Rispose. Lo so, ma è più forte di me. Mi sorrise.
Poi avvenne una cosa strana. Un tizio venne verso di me e mi disse che occorreva evacuare, di seguirlo che lui sapeva dove si trovava l'uscita di emergenza. Il fatto è che dicendolo guardava entrambi, me e lei, come se fossimo in due. Ma allora sei qui, dissi a lei. È più complicato di così, mi rispose.
Percorremmo uno spazio dal pavimento in mosaico che sembrava l'ingresso di una sauna e che terminava con un portone gigantesco dotato di maniglione antipanico. Ora va, mi disse, non pensare a me, devi concentrati sull'uscita. Io lo feci. Quando varcai la soglia di nuovo quella vibrazione, poi fui su un terrazzo che sembrava il ponte di una nave, insieme alle moltitudini ad attendere i soccorsi. Lei non era più con me. In un certo senso me lo aspettavo e sapevo che sarebbe bastato poco per ritrovarla.
Però di star lì fuori con tutta quella gente non mi fidavo, quell'edificio cadeva a pezzi e una terrazza affollata non era il posto più sicuro dove sostare.
Rientrai, anche se non so come visto che quelle porte si aprivano solo da un lato. Ma di fatto fui dentro e di nuovo ci fu la vibrazione e di nuovo lei mi apparve accanto.
Hai cambiato idea? mi disse mentre camminavamo a ritroso in quel corridoio da bagno turco. Non lo sapevo.
Ero stanco di tutto quello, la confusione mi dava alla testa, non sapevo dove stavo andando e lei era lì a far finta che fosse tutto normale.
Io credo che questo posto non esista, le dissi. Lei parve dispiaciuta, ma era come se se lo aspettasse. Dici sul serio? Si.
Il pavimento in mosaico iniziò a sgretolarsi dal fondo, lasciando dietro di se una oscurità insondabile. Noi camminavamo ancora. Poi io camminavo ancora, perché lei non c'era più. Quindi? Disse la sua voce. Quindi credo sia finita, le dissi.
Per capire quanto avesse ragione dovetti aspettare di andare in quell'assurdo centro commerciale che si sforzava di luccicare dello scintillio dei giorni migliori, senza però riuscire a nascondere le ferite evidenti. È stata la bomba, ti dicevano i giovani che si trovavano a gruppetti, affollando terrazze e soppalchi come se tutto fosse a posto. Quale bomba? Quando? Chiedevo io. Ieri, una settimana fa, un mese, rispondevano loro. Io non ne sapevo nulla, così come non sapevo cosa stavo facendo lì, in un posto senza niente da comprare, solo nella moltitudine. Fu in quel momento che capii quanto mi mancava e che iniziai a pensare a lei e a quanto la volessi lì. Ci fu una strana vibrazione, ma non una di quelle che capitavano di continuo dentro quel posto macilento. Questa proveniva da me, dalle viscere, come una scossa. E lei comparve.
La vedevo come vedevo tutti gli altri. Ciao, mi disse e io restai lì come un fesso a deglutire saliva che nemmeno riuscivo a produrre. Sorrise. Te l'avevo detto che sarebbe successo. Aveva ragione, ma era un evento così straordinario che non sapevo come rispondere. La gente pareva averla notata, anche se sapevo che la potevo vedere solo io.
La toccai. C'era. Beh, disse. Non ti fidi?
Devo andare in bagno. Solo quello fui capace di dirle. Tanto sai come trovarmi, fece lei serena.
Andai in bagno e quello era forse il posto peggiore dell'edificio. La luce rischiarava l'ambiente come se fosse appena stata installata, ma tutti i cessi perdevano acqua, tanto che si era formato un lago sul pavimento. Sarei dovuto uscire subito, ma mi scappava troppo per poter rimandare. Così la feci, impregnandomi le scarpe di acqua e pensando a come fosse possibile che lei fosse comparsa lì. Non poteva essere. Forse non era. Magari ero io a essere andato fuori di testa. La nostalgia poteva essere una brutta bestia.
Stavo finendo i miei pensieri e la mia minzione, quando un boato scosse il pavimento muovendo onde sul piccolo mare nel quale ero immerso.
Uscii e capii subito ciò che era accaduto. Un soppalco, quello nel quale mi trovavo io prima di dedicarmi alle mie funzioni, era crollato. Troppa gente in un luogo così instabile. L'avevo già pensato, anche se non immaginavo un disastro del genere. C'erano persone che urlavano e io, improvvisamente, mi preoccupai per lei, anche se non avrei dovuto, visto che in effetti lei lì non c'era.
Infatti quando arrivai nella zona del disastro la trovai lì, tranquilla ad aspettarmi. Mi stavo preoccupando per te, le dissi. Non serve. Rispose. Lo so, ma è più forte di me. Mi sorrise.
Poi avvenne una cosa strana. Un tizio venne verso di me e mi disse che occorreva evacuare, di seguirlo che lui sapeva dove si trovava l'uscita di emergenza. Il fatto è che dicendolo guardava entrambi, me e lei, come se fossimo in due. Ma allora sei qui, dissi a lei. È più complicato di così, mi rispose.
Percorremmo uno spazio dal pavimento in mosaico che sembrava l'ingresso di una sauna e che terminava con un portone gigantesco dotato di maniglione antipanico. Ora va, mi disse, non pensare a me, devi concentrati sull'uscita. Io lo feci. Quando varcai la soglia di nuovo quella vibrazione, poi fui su un terrazzo che sembrava il ponte di una nave, insieme alle moltitudini ad attendere i soccorsi. Lei non era più con me. In un certo senso me lo aspettavo e sapevo che sarebbe bastato poco per ritrovarla.
Però di star lì fuori con tutta quella gente non mi fidavo, quell'edificio cadeva a pezzi e una terrazza affollata non era il posto più sicuro dove sostare.
Rientrai, anche se non so come visto che quelle porte si aprivano solo da un lato. Ma di fatto fui dentro e di nuovo ci fu la vibrazione e di nuovo lei mi apparve accanto.
Hai cambiato idea? mi disse mentre camminavamo a ritroso in quel corridoio da bagno turco. Non lo sapevo.
Ero stanco di tutto quello, la confusione mi dava alla testa, non sapevo dove stavo andando e lei era lì a far finta che fosse tutto normale.
Io credo che questo posto non esista, le dissi. Lei parve dispiaciuta, ma era come se se lo aspettasse. Dici sul serio? Si.
Il pavimento in mosaico iniziò a sgretolarsi dal fondo, lasciando dietro di se una oscurità insondabile. Noi camminavamo ancora. Poi io camminavo ancora, perché lei non c'era più. Quindi? Disse la sua voce. Quindi credo sia finita, le dissi.
C'era buio anche dentro la mia stanza, ma la luce che filtrava dalle persiane gli impediva di essere così inesorabile e io riuscii a guardare il soffitto e a pensare a quell'esperienza. Avevo capito tante cose e sarei dovuto essere triste, me ne rendevo conto. Eppure non ci riuscivo, perché, se anche era vero che avevo perso tutto, c'era comunque qualcosa che potevo raccontare.
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