L'apocalisse è un gioco al quale non si può giocare: Fallout (2024)

Prima di approcciarmi alla serie televisiva il mio rapporto con il marchio Fallout rientrava nella sfera del conflittuale. Una sola volta avevo affrontato un gioco della saga, dedicandogli oltre sessanta ore della mia esistenza, tentando a tutti i costi di accendere quella scintilla che sentivo pronta dentro di me, ma dovendo alla fine rinunciare, sconfitto da una legnosità difficile da digerire e da un allevamento di bug che nemmeno il miglior disinfestatore in circolazione poteva estirpare. Dover ripetere gli stessi percorsi decine di volte per aggirare salvataggi compromessi e missioni che perdevano pezzi era troppo anche per uno paziente. Figurarsi per me.
Ecco, con queste premesse io l'universo di Fallout dovrei odiarlo, invece fin dai primi passi sul deserto del Mojave le suggestioni della zona contaminata mi si sono attaccate addosso come radiazioni senza effetti nocivi (credo).
Appena la serie mostra le prime immagini, sembra subito di incontrare qualcosa di conosciuto, confortevole persino per me che ho dedicato a Fallout così poco tempo. Chi ha messo mano al progetto ci teneva davvero molto affinché l'opera sembrasse un capitolo della saga non giocabile, pescando dall'iconografia vagamente anni cinquanta e riproponendone la stessa estetica. Di più: gli sceneggiatori capeggiati da Jonathan Nolan, sono stati capaci di riprodurre anche le sensazioni che si respirano dentro e fuori dai Vault, mettendo su un western in piena regola, contaminato (ha ha, me le faccio e me le rido) da spruzzate horror, dalla strana fantascienza di un universo diverso dal nostro e da un umorismo nero che rende chiaro quanto in Fallout non ci sia nulla da ridere, ma anche niente da prendere sul serio.
Poi è chiaro: il mondo è pieno di precisini armati di temperamatite pronti a dimostrare come questo o quell'avvenimento all'interno della serie non rispetti il canone originale del gioco. Ma al di là di queste fissazioni che non riuscirò mai a capire, il lavoro fatto per rendere riconoscibile Fallout come un autentico Fallout è roba da spellarsi le mani.
Detto ciò viene da chiedersi cosa racconta, in buona sostanza, questa serie TV (la prima che approccio dopo anni di rifiuto totale per il format, tra l'altro). Beh si tratta di un road movie nel quale tre personaggi principali ben presentati durante la prima puntata devono attraversare la zona contaminata in cerca di qualcosa o di qualcuno. Direi essenziale, semplice, facile da seguire. Questa però è solo la struttura di una storia che in realtà cerca di approfondire, perché da serie nata per solleticare il palato dei fan, ben presto si trasforma in un racconto con qualche dose di mistero e dove nulla è ciò che sembra.
La protagonista principale è Lucy McLaine, abitante del Vault 33 che pare ingenua (grazie anche a due occhi così grandi che paiono ritoccati in CGI), ma che nasconde determinazione, come ci accorgiamo fin dalla primissima puntata. Lei è il nostro veicolo, visto che parte da un'organizzazione relativamente vicina a quello che noi riconosciamo come ordine sociale; c'è poi chi arriva da fuori ed è costretto a vivere nel far west da duecento anni mentre combatte per non cedere completamente alle mutazioni; infine quello che, alla disperata ricerca di un posto nel mondo, affronta le sfide di un'organizzazione militare potente, ma stolta. Chiaramente con il passare delle puntate punti di arrivo e di partenza sveleranno identità diverse, sfaccettate, intriganti. Ma non dico altro perché a qualcuno potrebbe non bastare immergersi nel mondo di Fallout per sentirsi rapito, vorrà anche godersi gli sviluppi di una trama in realtà non troppo sorprendente.
Senza stare a specificare quanto figo sia Walton Goggins anche senza la faccia o come Aaron Morten assomigli come una goccia d'acqua al giovane Denzel Washington, mi limito a esprimere il mio grave rammarico per l'unica scelta che non ho apprezzato di tutta l'operazione, ovvero quella di lasciare il finale aperto a un eventuale seguito.
Da che mondo è mondo i capitoli di Fallout fanno storia a sé. A ogni interazione ci si sposta di qualche chilometro, si anticipa o si posticipa di un po' la cronologia degli avvenimenti, si cambiano i personaggi e si ricomincia da capo. Una scelta che avrei voluto vedere confermata anche qui, nell'unico capitolo non interagibile della saga. Invece no, succede che ci sarà una seconda stagione (già annunciata) che molto probabilmente non vedrò, perché le serie tv mi hanno stancato.
Gli autori sono riusciti nella magia di ricostruire un mondo affascinante, avevano in mano un progetto che sembrava perfetto e hanno scelto di metterlo in pericolo puntando su una continuità che li espone al rischio di un decadimento qualitativo (notare la vicinanza con i termini scientifici di riferimento, sono proprio bravo).
Sarebbe un vero peccato lasciare che un'opera simile cada nella fiacchezza tipica dei racconti che allungano troppo il brodo, come spesso accade di questi tempi.





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