Lo spettatore #227: I bei noir che facevano nel futuro: Gattaca- La porta dell'universo ( Gattaca, 1997)

Ho come l’impressione che Gattaca si sia guadagnato il titolo di piccolo cult di fine millennio, forse per la presenza della meglio gioventù dell’epoca rappresentata da Ethan Hawke, Uma Thruman e Jude Law. Ma può anche essere che mi sbagli, del resto questo è un prodotto che mi sono visto svolazzare davanti per venticinque anni prima di decidermi ad afferrarlo. Magari è solo la sua onnipresenza a farmi pensare che goda di una certa fama.

Certo è che l'estetica retrofuturista nella quale è immerso gli è valsa una candidatura all’Oscar. Del resto l’ambientazione asettica e vagamente anni quaranta scelta da Niccol, pur non rappresentando un’ondata di novità senza precedenti, dona a questa distopia la giusta atmosfera.
Ecco, peccato solo che si tratti di un esercizio inutile, perché dopo il monologo di dieci minuti regalatoci da Ethan Hawke in apertura, Niccol poteva chiamare la chiusura delle riprese e mandare tutti a casa.
Si perché quando il racconto dell’infanzia del protagonista termina, il film ha già detto tutto quello che voleva dire e nel modo meno interessante che avesse a disposizione. Tutto il resto è un continuo ribadire lo stesso concetto per un tempo intollerabile. La vaga storia dell’omicidio, dell’ indagine, dell’amore tra i belli, della frustrazione di Law, di tutto ciò che avviene, perde di interesse in tempo zero.
Niccol vuole veicolare un messaggio, innanzitutto. Ma per non perderlo di vista lo rende ovvio e banale, utilizzando la didascalia invece dell’azione. Sul senso del messaggio vi lascio il piacere di farvi ammorbare dal film. Sul senso del film, invece, mi trattengo.
Non mi piace questo modo di raccontare, non è un segreto, anche se mi rendo conto che in quel periodo storico le grandi pellicole americane ci giocavano parecchio.
Niccol, quindi, si è forse inserito in una moda, ma lo ha fatto male. Almeno secondo me.
Certo, a meno che non si consideri Gattaca come la rivisitazione dei noir classici (la scenografia e i colori) in chiave fantascientifica. Ma in questo caso vorrei sapere chi può essersi goduto le svolte narrative, sempre figlie della necessità di far combaciare tutti i tasselli anche a costo di forzare la mano.
Il continuo rincorrersi degli eventi, con frasi e situazioni ripetute in contesti diversi, è utile solo a illudere ci sia una certa circolarità nella storia. In realtà tutto è artificiale e asservito a un messaggio che viene sottolineato milioni di volte e a un twist finale che lascia veramente di pietra.
Davvero non era possibile trovare una soluzione migliore? Cioè, spesso siamo in grado di riconoscere i nostri compagnucci delle elementari anche se non li vediamo da anni. Com’è che quei due ci mettono tutto il film, anche se sono cresciuti insieme? E no, non fatemi il discorso che prova a imbastire la sceneggiatura, perché non regge. Una faccia è una faccia, anche nel futuro.
Ma magari sbaglio io, forse Gattaca non è mai stato un cult e mi sono semplicemente ingannato a causa della voglia matta di vendermelo che hanno le piattaforme.
In ogni caso il dente me lo sono tolto. Direi che con questo prodotto ho chiuso.




Commenti

  1. Sono passati ormai quasi trent'anni dalla mia visione di questo film e davvero non è rimasto altro che una sensazione piacevole, troppo poco per non credere ai problemi che invece evidenzi, e che probabilmente vedrei anch'io se lo rivedessi. Per questo non lo rivedo, me lo tengo come caro ricordo di quando poteva esistere una fantascienza più intima e meno caciarona :-P

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    1. Credo che il tentativo fosse quello effettivamente. Ma odio quando spiegano le cose col dito.

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  2. E' un film che ho sempre apprezzato, l'avrò visto almeno 4 volte nel corso del tempo.

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    1. Allora mi sa che sono io a non averlo capito ed effettivamente il suo alone era giustificato.

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