Quando sei troppo in alto, rischi di cascare giù: la decadenza della Formula 1.

Da bambini ci insegnavano a non ingozzarci di cose che ci piacevano, pena un'indigestione che ce le avrebbe fatte odiare per sempre. E' una lezione importante, che forse si impara davvero solo dopo le prime sbronze con l'amaro, ma che sembra non interessare ai moderni geni del marketing, sempre pronti a inondare il mercato con prodotti alla moda.


Come (forse) sapete il campionato mondiale di Formula 1 è solito prendersi una lunga pausa durante il mese di agosto. Un momento che va a interrompere il flusso delle emozioni e che per un appassionato di corse come il sottoscritto dovrebbe rappresentare un fastidio, qualcosa che si vorrebbe finisse presto per evitare di divorarsi dall'attesa.
Ecco, a me l'estate scorsa è passata la voglia. Sentivo l'appuntamento con le piste come un impiccio. Ne avrei volentieri fatto a meno, spingendo l'avvio dei lavori a data da destinarsi.
Questo stanno facendo alla Formula 1 i moderni geni del marketing.

Non vorrei sembrare quello che dice che le cose andavano meglio quando stavamo peggio. In realtà credo che Liberty Media dal momento del suo ingresso abbia apportato innovazioni importanti demolendo lo storico muro generazionale e riempiendo gli autodromi fino al limite di gente giovane.
Un merito epocale, opposto agli auspici della gestione precedente. CVC nella persona di Bernie Ecclestone dichiarava senza mezzi termini di volere un pubblico esclusivo, tendenzialmente anziano e facoltoso, disposto ad esibire il proprio abbonamento televisivo come uno status symbol al pari della supercar sotto casa o dell'orologio col cinturino in pelle umana. Pazienza per i circuiti deserti e il disinteresse. Una strategia perfetta per un uomo di novant'anni, ma poco lungimirante.
Liberty Media ha invertito la rotta, potenziando il proprio ruolo nella rete, cercando il coinvolgimento diretto del pubblico e commissionando una serie televisiva di stampo documentaristico (si fa per dire) che ha aumentato la curiosità delle menti più fresche verso il suo prodotto. Trascinando, in definitiva, la Formula 1 nella propria età dell'oro.
Ma non tutti gli sport sono adatti alla popolarità. O quantomeno non a quella massiva tipica del calcio, per esempio, attività molto facile da comprendere, replicabile dai ragazzini con un pallone e un paio di magliette e perciò soggetta all'emulazione.
Certo, ci sono momenti speciali, tipo il dominio Ferrari partito una ventina di anni fa, oppure stagioni straordinariamente tese come quella del 2021. Eventi capaci di attrarre le folle. Ma non è sempre così e più spesso le corse sono cibo per appassionati, gente che non si addormenta (o lo fa con meno frequenza rispetto agli altri) durante i gran premi con distacchi superiori ai venti secondi.
Liberty Media, però, è convinta che l'epoca della Formula noia sia alle spalle. Ha approfittato della Grande Circostanza Sequestratrice del 2020 per spingere Drive To Survive, immergendo gli spettatori nella categoria e trasformando le vicende del retro box in una grande telenovela sudamericana. Non è un caso che uno dei personaggi più popolari oltreoceano sia Gunther Steiner, tizio che probabilmente non avrete mai sentito nominare fino al momento in cui ho scritto il suo nome in questo post.
Intendiamoci, non c'è nulla di male in questo. Io un paio di stagioni della serie le ho viste e non posso negare che si tratti un prodotto appassionante, capace di avvicinare molto piloti e addetti ai lavori alla sensibilità dello spettatore, per di più condito da immagini spettacolari che offrono uno spaccato davvero affascinante della F1.
Nonostante le sue pretese documentaristiche, però, Drive To Survuive è una serie Netlfix, ha una sceneggiatura ed è difficile non accorgersene per chi assimila le corse abbeverandosi anche da altre fonti autorevoli. Lo scopo del prodotto è quello di coinvolgere e come tale viene costruito. Il montaggio furbo crea rivalità dove non ci sono, alimentando polemiche inutili ad un ambiente già parecchio avvelenato. Ma soprattutto espone all'imbroglio del Grande Fratello (il reality show, non il dittatore di George Orwell). Per quanto il prodotto voglia vendersi genuino, i diretti interessati hanno sempre una telecamera puntata contro, lo sanno e agiscono di conseguenza (magari imboccati proprio dagli autori). Esattamente come succede in corsa, dove i piloti e le squadre sono consapevoli che le conversazioni radio vengono girate alle televisioni e le usano per fini spesso “politici”. Così alcuni protagonisti del circo hanno chiesto di non apparire nelle ultime edizioni della serie, sacrificando parte della popolarità in favore di un rapporto più onesto coi colleghi.
Ad ogni modo, Liberty Media è riuscita a portare al proprio capezzale un nutrito gruppo di appassionati vergini, spesso giovanissimi, che popolano i social, seguono le notizie, qualche volta elargiscono i soldi di un abbonamento e, in casi speciali, vanno addirittura in pista per vedere il Gran Premio.
Una tipologia di pubblico molto diversa da quella di qualche anno fa, meno legata all'automobilismo in senso stretto e più orientata allo spettacolo. Certamente una filosofia all'americana, se vogliamo, ma ormai tutto il mondo è paese. Anzi, village, così ci capiamo.
Va da se che un tipo di spettatore del genere ha esigenze molto diverse rispetto al classico amante dei circuiti ed è anche molto meno tollerante riguardo a ciò che gli viene proposto una domenica si e una no. Una stagione come il 2021 va bene, anche se si chiude in modo controverso (anzi, meglio, visto che le polemiche fanno gonfiare i commenti sui social), una come il 2022 o il 2023 molto meno, perché emette le sentenze in netto anticipo e priva il finale del colpo di scena. Vaglielo a spiegare che questo tipo di campionati sono la normalità in F1 e che il 2021 ha rappresentato un'eccezione.
Questi se si stancano della serie TV cambiano canale e si dedicano ad altro. Le piattaforme traboccano di offerte e anche prodotti con un bel potenziale finiscono per schiantarsi contro il muro dei bassi ascolti. Quindi è il caso di non dare questi spettatori per scontati, perché cadere dalle stelle alle stalle è un attimo e spesso nemmeno te ne accorgi.
Qualcuno, per dire, ne sa qualcosa. Vero Dorna?

Quando ero più giovane, diciamo a partire da una ventina di anni fa (ma forse anche prima) una categoria particolare del motorsport visse una ondata di popolarità senza precedenti. Come avrete capito dal logo qui sopra, mi riferisco alla MotoGp, spinta al successo dall'avvento del fenomeno Valentino Rossi (spettacolare in pista e incredibilmente carismatico fuori) e dall'abilità dei gestori del campionato nello sfruttare tale personaggio per imbastire tutta una letteratura.
Poi però Rossi si è ritirato e l'erede mediatico Marqeuz ha attraversato difficoltà indicibili che lo hanno tenuto fuori per larghi periodi delle stagioni recenti.
Da qui la disaffezione del pubblico generalista per le gare di moto. Un fenomeno fisiologico: come dicevo lassù il motorsport non è attività che si pratica ai giardinetti, quindi quando mancano i personaggi sono solo gli appassionati della disciplina a restare fedeli alle corse.
Dorna ovviamente non accetta questa realtà e prova a inventarsi soluzioni per riavvicinare le masse al proprio prodotto, producendo idee bizzarre che sembrano più tentativi disperati che autentici progetti, (le gare brevi del sabato rappresentano solamente l'esempio più evidente di ciò che intendo).
Forse il vero problema della MotoGp è stato quello di adagiarsi sulla popolarità degli anni zero lasciandosi sfuggire l'occasione di prevenire l'abbandono di VR46 attraverso pratiche di lungo respiro.
La Formula 1 sta seguendo la stessa strada, monetizzando la propria esplosione senza vedere oltre. Al momento, cioè, nel quale la gente si annoierà. Tutte le scelte attuali spingono verso una democratizzazione della serie, ignorando quelli che, quando la sbornia passerà, resteranno a curare il mal di testa.
In questo senso arricchire un calendario già zeppo di date non servirà a nulla, se non a stancare anche i più affezionati a un evento che va in onda troppo spesso, amplificando quel senso di indigestione di cui parlavo in apertura.
Sarebbe meglio aumentare il numero dei partecipanti invece, perché una categoria ricca di iscritti è una categoria in salute. Certo, la scottata presa con le varie Catheram, HRT e Virgin-Marussia-Manor ha lasciato pustole vive. Ma rifiutare l'iscrizione a nuove squadre sembra francamente un brutto modo di guardare al futuro.
Andretti Autosport, che ha richiesto un posto per partecipare al mondiale a partire dal 2024, è una realtà importante, che corre in svariate serie automobilistiche (Indycar, Enduramce, Formula E) con successi notevoli che derivano da competenze interne e risorse economiche di buon livello.
Ma ai dieci team presenti in griglia questa cosa non piace. Oggi la Formula 1 è ricca e di dividere la torta con altri commensali non ci pensano proprio. Un atteggiamento che li ha portati a guardare con sospetto anche il gruppo Wolksvagen, che con Audi è invece riuscito a mettere un piede in paradiso.
Il punto è che, come dicevo lassù, la pentola d'oro alla base dell'arcobaleno è destinata a svanire. Presto o tardi la categoria tornerà ad assumere le proprie dimensioni naturali. Il pubblico calerà fino ai soli appassionati, i ricchi circuiti extra-europei inizieranno a dubitare sull'utilità degli investimenti necessari ad ospitare un Gran Premio, i portafogli si faranno meno spessi e le squadre cominceranno a darsela a gambe, spinte dall'indigenza o dall'opportunità. In quel momento ci si renderà conto di quanto bene avrebbe fatto una griglia ben imbandita, perché se si vive nell'abbondanza conviene mettere via per i periodi di carestia. Con tredici compagini iscritte sarebbe più facile assorbire le defezioni di uno o due team. Non è che ci vuole un genio.
Ma non conta. Oggi a guidare la baracca c'è la solita avidità che tante grandi imprese ha fatto tramontare.
Quando questo sport non produrrà più abbonamenti e dovrà tornare a elemosinare dal servizio pubblico e sulle tribune dei circuiti si vedranno più gradoni che persone, sarà già troppo tardi.




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