Lo spettatore #201- L'attenzione al dettaglio: Ultima Notte a Soho (Last Night in Soho, 2021)

Ammetto che senza passare a trovare Erica del Bollalmanacco e Cassidy della BaraVolante non sarei mai venuto a conoscenza del film di oggi. La mia già scarsa propensione per la novità ultimamente si è fatta ancora più acuta. Un altro passo verso quell'eremitaggio che, a questo punto, credo sia il vero obbiettivo della mia esistenza.
Ma per ora sono ancora connesso al resto dell'universo e quando ho trovato la pellicola a disposizione sull'ormai nota piattaforma satellitare, ho ricordato le belle parole spese dai due splendidi recensori prima di me. Non potevo quindi farmi scappare:

Se mi chiamassi Fox Mulder e di mestiere dovessi dare la caccia ai fenomeni paranormali, di sicuro un'indagine su Ana Taylor-Joy la aprirei. Dopotutto ci sono arrivati anche i registi, che scelgono la sua bellezza rettiliana per il ruolo del personaggio atipico tra la folla di figure tutte simili.
Il giusto contraltare alla protagonista: una Thomasin McKenzie pulitissima nel suo modo di presentarsi, ingenua, entusiasta, ma tramortita da un potere che potrebbe essere solo follia. Un viso acqua e sapone che, seppur per una frazione di secondo, sa trasformarsi in pura determinazione con uno sguardo che incenerisce. Recitazione che non ha bisogno di ammiccare alla telecamera per restare tatuata nella memoria.
Sarà per questo che tra le due io abbia preferito la seconda?
Ma anche chissenefrega.

Se vogliamo Last Night In Soho è un modo di distruggere l'ideale del si stava meglio quando si stava peggio. La Swinging London degli anni sessanta, mitizzata dalla cultura pop, non è alla fine migliore di altre epoche. Anzi, forse è persino più brutta, perché certi soprusi che oggi vengono osteggiati, un tempo finivano per essere tollerati da una società che provava a modernizzarsi restando ancorata al passato.
Il confronto tra la giovane e sognante Eloise, che si sente schiacciata dalla forze della grande metropoli, e la intraprendente Sandie, che invece le si butta addosso armata di obbiettivi precisi, esalta talmente tanto la prima (già imbevuta di cultura sixties grazie ai dischi di nonna), da spingerla a fare qualunque cosa per emulare la seconda. Almeno finché non si accorge che ai tempi belli i tempi non erano così belli.
Basterebbe questo, secondo me, a rendere il prodotto interessante.
Wright, che è regista capace, sa metterci dentro anche uno stile che conquista. Colori, luci, costumi e tutto quello che volete. Ma soprattutto attenzione al dettaglio.
Molto spesso Wright fin qui aveva utilizzato il suo talento e la sua conoscenza del mezzo in modo molto elioelestorietesiano. Con Last Night In Soho invece il regista sceglie di applicare le sue doti a una storia costruita sulle atmosfere, rimbalzando tra passato e presente, giocando con il mondo onirico, andando a ripescare dai decenni passati la psichedelia delle immagini, ma non lasciando niente al puro spettacolo. La scena del ballo con le due attrici che si scambiano è pressoché perfetta, ma ancora di più ruba l'occhio il modo in cui, nella fuga seguente, Wright sa giocare con i riflessi degli specchi, che mostrano sempre quello che devono mostrare, anche se solo per un attimo.
Ecco, detto questo forse stona che nel corso del racconto non si accenni mai agli uomini scomparsi al tempo di Sandie. Un'omissione determinante per la riuscita del colpo di scena finale e che a conti fatti sembra una mossa scorretta. Eppure non offende troppo un lavoro che, pur essendo un noir fatto e finito, gioca con altre suggestioni per portare a casa la pagnotta.
Secondo me ci riesce pure, perché Last Night In Soho è un film delizioso da guardare, in alcuni momenti violento, ma perfettamente in equilibrio dall'inizio alla fine.
Grazie Erica e grazie Cassidy, quindi, per avermi fatto scoprire una pellicola che forse avrei ignorato.
Ciao a loro. E anche a voi.




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