Lo spettatore #199- Disperazione in provincia: La Notte Più Lunga Dell'Anno (2021)

La provincia: quel luogo del nostro paese dove le piccole comunità si incattiviscono e i sogni sono cerini gettati nelle pozzanghere. Un posto incredibilmente cinematografico, fatto di rimpianti e piccolissime rivalse, abitato da una popolazione resiliente (detesto questo termine, eppure lo uso anche io. Guardate cosa mi avete fatto), che lotta dentro cittadine prive di ogni cosa.
Il fatto che non sia per forza così non conta, agli autori l'idea piace parecchio.

Potenza, solstizio d'inverno: una masnada di personaggi vive il proprio confine, tra ordine borghese e ribellione. Ognuno di loro porta un fardello e nasconde l'immancabile lato oscuro. Vite all'apparenza slegate, ma che trovano un punto di congiunzione in una stazione di servizio aperta ventiquattro ore su ventiquattro, con il suo gestore notturno dalle molte vite delle quali nessuna vissuta.
Quanta poesia c'è nella decadenza.

Mi piacerebbe definire l'opera di Simone Alenadri altmaniana, ma non so cosa vuol dire quindi lascio perdere. Di fatto il regista prende varie vicende legate ad alcuni personaggi e le mischia con un montaggio alternato che porta l'attenzione da una all'altra tentando di offrire lo stesso spazio a tutte quante. Storie che si ignorano, che qualche volta si toccano, ma che mai si intrecciano.
Ammetto che è un buon modo di fare letteratura, perché consente di portare a casa un lavoro sostanzioso senza per forza doversi affidare a trame lunghe e complicate. Inoltre il continuo palleggiare da un campo all'altro dovrebbe tenere i ritmi piuttosto rapidi anche con storie non necessariamente pimpanti di natura.
Dovrebbe, appunto.

Pur inscenando frammenti di esistenza e quindi privandosi di tutti i preamboli che a volte affliggono certi racconti, lo sviluppo delle vicende appare piuttosto legnoso, afflitto da un tono molto serio che quasi mai fa entrare in contatto con i personaggi che compaiono a schermo.
Certo, l'episodio che vede per protagonista Ambra fornisce chiavi di lettura suggestive, legate al passato dell'attrice e alla fatica che ha fatto (e forse continua a fare) nel liberarsi da una maschera costruita giovanissima e che ancora talvolta le viene appiccicata addosso. Ma è comunque una riflessione esterna a un film che forse a tutto questo nemmeno vuole alludere.
Il resto sembra costruito in laboratorio e affidato a caratteri poco empatici. Non per sola responsabilità degli interpreti però. Io credo che una grossa mano alla fiacchezza generale l'abbia data una scrittura fin troppo ordinata.

Il politico con gli scheletri nell'armadio, la professoressa con la passione per il ragazzetto, il deejay che nemmeno scende dalla macchina perché perso nella sua bolla e via dicendo, sono archetipi che creavano curiosità un po' di tempo fa. Arriviamo da periodi in cui questi tipi di personaggi sono stati esplorati decine di volte. Limitarsi a gettarli così non sposta più di tanto la sensibilità dello spettatore.
Vero, con i giovani marginalizzati che sembrano rifiutare l'idea di un futuro migliore si lancia un bel germoglio, forse il più fecondo di tutti. Ma non c'è il tempo per vederlo crescere perché comunque c'è uno studente nudo che dorme in macchina, un incendio in centro che sembra omaggiare il Freccia di Accorsi e una ballerina che vuole levarsi di dosso un mestiere per il quale si sente troppo vecchia.
Mi spiace moltissimo che questo film non mi sia piaciuto quasi per niente, perché riesco a individuarne il potenziale rimasto in canna. Eppure ho faticato a portarlo alla fine e quando mi sorprendo a guardare l'orologio durante la visione non è mai un buon segno. Certo, a volte comunque qualcosa resta. Qui, oltre al discorso su Ambra che ho scritto lassù, mi è rimasto ben poco addosso.
Peccato.




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