Iuri legge per voi: Ninja (1980) di Eric Van Lustbader

Curiosando tra gli eleganti pixel del Zinefilo ho scoperto l'esistenza di un romanzo chiamato semplicemente Ninja che, a detta del signor Z, rappresenta il nucleo originale di un particolare sottogenere capace di caratterizzare buona parte degli anni ottanta cinematografici. Spesso, va detto, impressionando su celluloide porcherie immonde da levarsi gli occhi dalla faccia.
Ma, al di là della qualità dei figli di questo libro, se la figura del ninja ha avuto un così vasto impatto sulla cultura pop del periodo un motivo scatenante doveva esserci e io volevo capire.

Mi aspettavo una storia in stile First Blood, con un intrigante antefatto che introducesse un libro tutta azione.
Ma non devo essere stato poi così attento alle parole del Zinefilo. Perché, una volta trovatomi il testo tra le mani, ho scoperto qualcosa di totalmente diverso.
L'azione c'è, ovviamente. Ma è quasi tutta concentrata in fondo e per arrivare agli schiaffi marziali con katana occorre una fase di preparazione che illustra per bene i concetti espressi nel romanzo.
Sostanzialmente Ninja è una riflessione sulle differenze esistenti tra cultura orientale e occidentale, con tutto il corollario di influenze e tensioni che derivano dal contatto sempre più profondo tra le due.
Il giallo che muove la trama (piuttosto prevedibile nella sua evoluzione a dire il vero) rappresenta solamente il percorso per arrivare alla redenzione e mettere a posto la coscienza di un protagonista nato e cresciuto in Giappone, ma che ha i tratti somatici dell'uomo bianco e che, sia nel Sol Levante che negli Stati Uniti, deve sempre fare i conti con la sua doppia natura.
Capite anche voi che una storia messa giù così ha tutto il potenziale per essere ben più spessa di quei ridicoli teatrini con gli omini incappucciati di tutti i colori che invadevano le emittenti private alcuni decenni or sono.
Van Lustbader lavora anche troppo su questa scissione, trasformando talvolta la sua avventura in una serie di monologhi un filo ridondanti. Ma questo è un giudizio del tutto personale che proviene da uno che ha imparato ad amare i testi asciutti della scuola carveriana votata allo show don't tell.
Non voglio definire tale verbosità un difetto comunque, anzi sostengo che Ninja è una buona lettura, perché, proprio grazie alla scelta di un protagonista così particolare, ci consente di entrare dentro a un contrasto al quale spesso non si pensa.
L'oriente come ci viene venduto qui è quasi uno specchio deformato di ciò che siamo noi. Mentre in realtà è un mondo a parte, talmente esotico che in pochi dalle nostre parti possono dire di conoscere veramente.
Ma esattamente come per gli asiatici il ricco e disincantato occidente può risultare affascinante, anche da questa parte del globo guardiamo quelle culture spirituali con gli occhi dolci.
Ninja è un buon modo di sintetizzare questo incrocio di fascinazioni e leggerlo non è una cattiva idea.
Sempre che riusciate a trovarne una copia. Io ho fatto una fatica blu, per dire.

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