Iuri legge per voi: La Calda Notte Dell'Ispettore Tibbs (In The Heat Of The Night, 1965) di John Ball

D'improvviso un ululato e i lupi corrono a radunarsi in branco.
L'omicidio di George Floyd, laggiù a Minneapolis, ha sconvolto molte coscienze. Un evento figlio del razzismo, certo. Ma anche maturato all'interno di una società che ci piacerebbe dire di conoscere, ma della quale in realtà sappiamo molto meno di quanto il cinema di Hollywood ami raccontarci.
Dopo il fatto è scattata la corsa inserirsi dal lato giusto della storia, con proteste vibranti e parole importanti. Molti di noi hanno scelto di seguire l'onda, illudendosi di far parte del novero degli illuminati che segneranno il futuro della specie, così convinti delle nostre buone intenzioni da non accorgerci che, in realtà, ciò che succede è solo un assestamento degli schieramenti. Un nuovo modo di stabilire chi siamo noi e chi sono loro. Una nuova modulazione dell'ululato, se preferite.
Sono solo parzialmente d'accordo con le dichiarazioni di Lewis Hamilton, secondo cui l'odio si insegna e non è una caratteristica innata. Secondo me qualcuno stronzo ci nasce proprio. Comunque il suo discorso ha senso. Perché il problema non è il razzismo in quanto tale, ma ciò che lo provoca. Ovvero il senso di appartenenza.
Il noi contro di voi.
Ne sa qualcosa Virgil Tibbs, arrestato alla stazione dei treni perché nero, quindi membro di una comunità reietta, e portatore di un portafoglio rigonfio di banconote, elemento che, unito al colore della pelle, ne fa un ladro. Caso vuole che Tibbs sia invece un ispettore di polizia di Sarasota in transito da Wells per andare a trovare la madre e pure piuttosto bravo. Siccome il suo arresto coincide con un delitto che nel piccolo posto di polizia del luogo non sembrano in grado di risolvere, proprio l'intervento di Tibbs potrebbe rivelarsi decisivo.
Non che sia ben accetto questo aiuto, sia chiaro. Lo sceriffo Gillespie se ne priverebbe volentieri. Ma quando qualche cittadino illustre di Wells gli intima di liberarsi di quel nero, beh, Gillespie si sente attaccato nella propria autorità. Allora lo tiene. Quasi per dispetto.
Il suo agente Sam Wood, lavorando al fianco di Tibbs, dovrà ammettere controvoglia che l'uomo ci sa fare. Entrambi, Gillespie e Wood, arriveranno ad apprezzarne i metodi e Tibbs, da accusato di omicidio solo per il colore che indossa, se ne andrà da Wells pieno di quel rispetto che si riserva a chi sa fare bene il proprio mestiere.
Tutto ciò avviene all'interno di un romanzo dallo stile asciutto tipico dell'hard boiled, ma che in realtà sfrutta le dinamiche del giallo classico, con il lettore coinvolto nel gioco della scoperta attraverso depistaggi studiati per metterlo fuori strada. Un libro persino ingenuo quando infila una storia d'amore piuttosto gratuita e poco armonica, seguendo la regola che vuole un po' di rosa per annacquare il noir.
Comunque uno dei pezzi pregiati della letteratura novecentesca americana. Perché John Ball parla nel 1965 di argomenti piuttosto potenti ancora oggi. E, tra i pochi, lo fa da una prospettiva che mi piace molto.
Tra le righe Ball parla proprio di quel senso di appartenenza che corrode il genere umano. Personaggi con le teste piene di pregiudizi come i poliziotti sudisti di Wells sono costretti a ammirare le capacità del più esperto Tibbs. A quel punto la pelle dell'ispettore non ha alcun colore, l'unica qualità che conta è la sua abilità.
Perché, in fin dei conti, noi non siamo parte di qualcosa. Non viviamo in branchi come i primi ominidi, che, lance alla mano, dovevano difendere il territorio di caccia dalle tribù rivali.
Siamo individui e, incredibile a dirsi, dotati di un organo sofisticato chiamato cervello. Ciò che davvero dovremmo pretendere da chi gira i bottoni nella famosa stanza sono gli strumenti adatti a utilizzarlo nel pieno delle sue potenzialità. Siano essi didattici o culturali.
Invece stiamo qui, seduti sulle zampe posteriori in attesa di un ululato che ci faccia radunare e ci invogli a ringhiare ragioni che nemmeno ci appartengono.

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