Retro futuro: Tales From The Loop

 A Jeff Bezos sta cosa di Netflix gli deve stare proprio qui. Il catalogo Prime Video continua a proporre novità, tanto che dal piccolo pulcino degli esordi si è trasformato in un cigno dal bianco scintillante, garantendo un'offerta che trovo quasi imbarazzante. Eppure tutti parlano quasi esclusivamente di N. Strangers Things di là, Dark di qua. Insomma pare che gli unici rimasti a produrre serie televisive siano i vecchi distributori di DVD a noleggio.

Ma se c'è una cosa che il nuovo millennio ci ha insegnato è che i miliardari eccentrici non si arrendono mai. Così JB ha radunato una bella squadra e ha messo su un nuovo prodotto pronto per sfidare gli acerrimi rivali nello stesso campo di gioco.

Per noi è giunto il momento di vedere cosa ci propone:


Retrofuturismo, parola dal nuovo conio che pare voglia imbrigliare questa mania della fantascienza anni ottanta riproposta al giorno d'oggi. Cosa che fa anche The Loop, naturalmente, anche se con un approccio diverso dal solito.

La fonte primaria di ispirazione sono i lavori di Simon Stålenhag, artista svedese capace di fare un po' di tutto, ma balzato agli onori delle cronache (anche se io non avevo idea di chi fosse, mi scuserete) per i suoi disegni dalle atmosfere un filo particolari. Simon mischia ambientazioni tipicamente anni ottanta a tecnologie avveniristiche, costruite però come se fossero anch'esse d'epoca. Design da tostapane, colore arancione e quadri elettrici sicuri come un temporale sotto un albero. Ma soprattutto tanta ruggine.

Le diavolerie meccanico-elettroniche dell'artista sembrano usurate, se non proprio abbandonate. Quasi a sottolineare come il futuro che l'umanità si immaginava un tempo sia stato spazzato via dalla realtà del nuovo millennio. Uno sguardo nostalgico, ma non in senso classico. Se volete la mia interpretazione di quel poco che ho visto, più che altro si tratta del rimpianto per un mondo meraviglioso che era a portata di mano, ma non è mai potuto venire alla luce.

Il tutto dona ai disegni di Stålenhag un'atmosfera desolata che la serie televisiva incorpora con entusiasmo e riporta sullo schermo davanti al basito telespettatore.


Evitando l'iconografia anni ottanta che ha reso celebri le Strane Cose, la serie sfrutta un'ambientazione al tempo stesso di moda e alternativa.. L'Ohio di The Loop è quasi sospeso in un non-tempo, che rende i riferimenti classici meno pesanti da digerire. Ve lo dico: se avete i miei stessi gusti, non riuscirete mai ad abituarvi allo straniamento che illuminerà lo schermo. I macchinari e l'edilizia di quel posto mostrano qualcosa di familiare che permette di riconoscerli, macchiato da qualcos'altro di anomalo che disorienta. Esteticamente parliamo di un'opera molto, ma molto interessante, di quelle che difficilmente si dimenticano.

Poi però ci sono le storie e qui il discorso rischia di essere diverso assai.

Se l'ispirazione delle indovinate scelte estetiche è dichiarata, dal punto di vista narrativo, almeno secondo me, qualche debito a Black Mirror gli autori di The Loop lo dovrebbero pagare.

Di quella serie vidi solo le prime stagioni made in England e non nascondo che alcuni episodi mi colpirono parecchio. Ma forse più per le atmosfere che per quello che effettivamente raccontavano.

Qui la situazione è simile, però senza quel gusticino che stuzzica le papille con il sapore della novità.

Come in Black Mirror la sensazione è quella di trovarsi a sbirciare in un mondo probabile, solo che se di là si parlava di futuro, qui ci si guarda indietro. Pare di scorgere una realtà confinante con la nostra, dove tutto è andato in modo leggermente diverso durante un preciso periodo storico. Un po' come accade nei videogiochi della saga Fallout, per chi li conosce. Intrigante, non trovate?

Per di più la trama degli episodi è costruita per reggersi sulle proprie gambe. I personaggi sono quelli, le vicende tra loro sono legate, ma la sceneggiatura costruisce una storia precisa ad ogni puntata, che parte da un punto e si conclude in un altro senza sconfinare nelle seguenti. Persino registi e troupe a supporto cambiano di volta in volta (l'ultima è addirittura Jodie Foster, pensate un po'). Una scelta narrativa vincente.

Solo che.


Il punto è che The Loop è ambiziosa. Molto. E ce lo fa pesare. Il pretesto narrativo che accomuna le storie è l'indagine dei drammi umani. Una cosa che la fantascienza fa spesso e in maniera piuttosto efficace.

Tutta questa minestra, però, viene buona se è mescolata bene, con gli ingredienti giusti e nelle giuste quantità. Il guaio è che in più di un episodio mi sono chiesto se tutta la sovrastruttura retrofuturistica fosse davvero necessaria alle vicende raccontate o se i quadri di Stålenhag non fossero stati appesi solamente per abbellire il set.

Per quanto la musica e i tempi dilatati provino a strizzare l'occhio ai classici del genere, la realtà è che spesso ho assistito a drammoni sentimentali raccontati nella maniera più convenzionale possibile.

Sarà che vivere sopra un acceleratore di particelle rende immuni alla stranezza (qui i miei numerosi lettori ginevrini sapranno dirci qualcosa in più) ma questa impostazione rischia di rendere la splendida scenografia totalmente superflua ai fini della storia.


Quindi Tales From The Loop ve lo consiglio o no? Si, senza ombra di dubbio, non fosse altro per quel mito su gambe chiamato Jonathan Pryce. E' indubbiamente una visione che si lascia dietro qualcosa e la sensazione straniante che la accompagna per ogni singola puntata vale davvero la pena di essere vissuta. Non è perfetta e nemmeno ci si avvicina, però. Questo va tenuto bene a mente. Se siete alla ricerca di quella fantascienza capace di parlare d'altro inglobando alla perfezione tutti i messaggi dentro al genere, mi sa che non siamo da quelle parti. Ma discutiamone, magari a me è sfuggito qualcosa.

Certo è che Bezos difficilmente porterà la sua serie allo stesso livello di popolarità delle Strane Cose. Alla fine il campo non è lo stesso. Qui sono tutti troppo seri per farsi amare dal grande pubblico. Ah che disdetta per lui.

Dannata N!

P.S. Mi è stato fatto notare che retrofuturismo non è un termine di nuovo conio e che non si riferisce alla fantascienza degli anni ottanta riproposta oggi. Ho fatto delle ricerche e in effetti è così. Io l'ho trovato abbinato ai lavori di Stalenhag leggendo alcuni articoli e mi pareva efficace per descrivere i disegni dell'artista. Tutto ciò non cambia il concetto del mio commento alla serie, ma mi pareva giusto segnalare l'errore. Tanto vi dovevo. Buone cose.


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